Elvira Laguardia. Il gesto emotivo nell’arte
Elvira Laguardia: arte visiva e gesto emotivo
L’arte visiva, figurativa o astratta che sia, antica o moderna che sia, da sempre si esprime con un linguaggio non verbale ma che comunica nell’immediato istante in cui l’occhio dell’osservatore si posa sull’ opera d’arte.
Nel corso dei secoli, i codici di tale linguaggio comunicativo hanno acquisito varie tipologie di espressione, mutevoli e adattabili ai canoni di ciascuna epoca in cui venivano applicati.
I soggetti artistici realizzati degli autori di dipinti, sculture, opere fotografiche e quant’altro pur nel proprio silenzio e fissità, comunicano con lo spettatore, ad esso si rivolgono, proponendo alla sua vista la propria essenza vitale. Ovviamente, questa essenza vitale è creata dall’autore dell’opera stessa e proprio qui, automaticamente, si sviluppa sia la necessità sia l’importanza del gesto comunicativo di chi questa opera la realizza e la espone al pubblico.
Mente umana e consuetudine
La mente umana, come si sa, riconosce nell’immediato soltanto ciò che è nella sua consuetudine, ciò che è abituata a visualizzare nel proprio quotidiano. Tutto quanto esuli da questa consuetudine richiederà, sempre, uno sforzo razionale, pur minimo ma necessario.
Certamente anche l’artista, come tutti gli esseri umani, si muove ed opera nella società del tempo in cui vive, usando i codici comunicativi che ha a disposizione, attingendo a quel patrimonio culturale che fa parte del suo secolo: per questo motivo ogni generazione di artisti si trova spesso ad essere assai distante da quelle precedenti, proprio a causa della distanza storica. Se vogliamo fare un esempio pratico, un pittore del Novecento, certamente, non si riconoscerà nei canoni descrittivi della pittura del Trecento, seppure non sia escluso che egli possa attingerne alcuni elementi stilistici o tematici per, poi, elaborarli e/o adattarli alla propria personalità, alla propria epoca.
Inoltre, se desideriamo paragonare la casistica dei gesti attribuiti a personaggi dell’arte dell’antichità, possiamo accorgerci che, riguardo ad alcune tipologie di gestualità ancora oggi, osservandole, siamo in grado di riconoscerne i significati e farle nostre; riguardo ad altre tipologie di gestualità, invece, non ci è possibile riconoscerle automaticamente perchè non fanno più parte della nostra cultura o della nostra quotidianità.
L’Ultima Cena
Di qui anche il rischio di fuorvianti interpretazioni, come nel caso della raffigurazione di San Giovanni Evangelista nell’ “Ultima Cena” di Leonardo da Vinci che, pochi anni or sono, è stata oggetto di discussione (e non certo tra gli storici dell’arte più qualificati) se si trattasse davvero dell’apostolo” “quello amato da Gesù” come riferisce il Vangelo oppure di una ipotetica, quanto improbabile, Maria Maddalena.
Un dubbio nato banalmente, solo perché i tratti somatici dell’Evangelista appaiono piuttosto femminei; l’equivoco, però, sta nel fatto che non si è tenuto sufficientemente conto che San Giovanni all’epoca dell’ultima cena con Cristo era poco più che un bambino, un adolescente in erba e proprio per la sua ancor tenera età era il prediletto di Gesù poiché bisognoso di protezione, come si attesta nel Vangelo medesimo.
Basterebbe leggere il Nuovo Testamento per capire con chiarezza anche nel dipinto leonardesco, il significato della raffigurazione di Giovanni Evangelista adolescente.
L’immagine dunque è un qualcosa che si legge.
E questo vale in particolare per la fotografia che è lo scatto di un “pezzo di realtà”, nonostante ogni foto possa essere rielaborata o modificata, codificata a piacere dall’autore, rendendola totalmente ermetica. Ma il più delle volte, se si tratta di uno scatto puro e semplice, l’immagine fotografica rimane qualcosa di “leggibile”.
La pittura invece no.
La pittura può essere decodificabile al massimo oppure può essere ermetica al massimo Da qui la confusione tra “vedere” e “leggere”. Il pittore può rappresentare il proprio “sentire” anche in modo del tutto indipendente da qualunque canone o consuetudine comunicativa. Potremmo non riconoscere affatto il suo gesto emotivo, che lo spinge a mettere su di una tela certi, specifici, colori o segni.
Il “Gesto Emotivo” di Elvira Laguardia
Ed è proprio questo il caso dell’artista potentina Elvira Laguardia.
Nella sua pittura è il gesto stesso, nella sua singolarità, a farsi cogliere dallo spettatore e non può essere sostituito da alcuna spiegazione. La tematica che la pittrice porta avanti in questi anni di maturità artistica e di vita, è proprio quella da ella stessa definita del GESTO EMOTIVO.
Una sorta di espressione istintiva che nasce da un sentire intimo, silenzioso e si esprime attraverso il colore fluido, istantaneo che si dipana sulla carta bianca o sulla tela intonsa, quasi come l’espressione di un mondo di pura introspezione, estraniato da tutto ciò che la circonda.
Cosa percepisce un sordo dal mondo esterno?
Nulla, ma proprio per questo motivo è richiamato all’introspezione, al sensibilizzare il proprio sé emotivo.
Ed è quello che esprime ed esterna la pittura di Elvira Laguardia, come se il suo fosse un mondo puramente emozionale, intimo, distaccato dalle distrazioni esterne ma solo concentrato sulle proprie intime sensazioni, i propri mondi paralleli, percepiti attraverso la fantasia.
La pittrice lucana si è trasferita, giovanissima, nel capoluogo emiliano dove ha frequentato il Dams e dove attualmente vive e fa arte. Negli anni Novanta la scelse il Comune di Bologna per un progetto espositivo in Piazza Maggiore che prevedeva un contesto d’arredo urbano realizzato con pittura spray su pietre e sassi d’epoca.
La “Plastopittura”
Fino al 2012 si è dedicata alla Plastopittura ch’ella realizzava con una tecnica di tinte pastose su base di stucco e gesso riportati su tela, senza disegno preparatorio.
Oggi la sua tematica principale si fonda, come già detto, sul gesto emotivo immediato, in cui trasferisce il colore sul cartoncino o la tela, direttamente dal tubetto di colore o lavorandolo con le dita, per cogliere l’attimo preciso e fuggente, in cui un’idea o una sensazione provocata da eventi -sia esterni che intimi- viene suscitata e percepita dall’artista. Si tratta di un gesto automatico che coglie l’istante.
Elvira Laguardia nel corso del tempo, ha partecipato a numerose mostre in Italia e all’estero tra cui Parigi, nel 2010 e ha esposto all’interno di varie iniziative di carattere artistico/sociale, una tra le tante è “Breccia sui muri”, esposizione di installazioni organizzata a Palazzo D’Accursio, nel capoluogo emiliano (anno 2017).
Di lei hanno scritto numerosi critici e studiosi d’arte contemporanea, ha ricevuto menzioni da riviste del settore oltre a testi dedicati al suo stile pittorico e plastico. La Biblioteca Nazionale di Potenza possiede una sua opera pittorica.
Nel genere creativo che porta il nome di Gesto emotivo si può raggruppare il corpus delle opere realizzate dalla pittrice, partendo dal 2010 circa, tra cui la serie denominata “Microsecondart” che narra la concezione del tempo, come carpe diem.
Cogliere e fissare nell’immagine pittorica
Elvira Laguardia introduce una filosofia del tempo e dello spazio fondata sul cogliere e fissare nell’immagine pittorica, l’attimo fuggente prima che vada perduto per sempre
Il suo modus operandi è caratterizzato da un chiaro stile astratto che la pittrice sintetizza nella cromia e nella fluidità del segno, diretto e immediato, pressoché ‘automatico’ per mezzo del quale porta a compimento le sue opere.
Il concetto di durata interiore si esprime con il cogliere un momento preciso di vita, un’esperienza -anche brevissima come un battito d’ali- ed imprimerlo immediatamente nel supporto attraverso un uso fluido del colore steso con i polpastrelli o direttamente dal tubetto per cogliere, nel più breve tempo possibile, la vera sensazione di un attimo che scorre e immortalarla, quasi come fosse uno scatto fotografico, ma non di un oggetto materiale anzi, al contrario, poiché l’artista immortala un pensiero, una emozione, un’idea.
Kant scrisse che il piacere estetico è un’interazione tra ciò che nasce nella mente e ciò che vi arriva tramite i sensi e nel caso di Elvira Laguardia il concetto kantiano trova la sua piena espressione.