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Comunicare tra le stelle. Dalla scienza alla cultura

Comunicare - Centro congressi Valencia
Lo spettacolare centro congressi di Valencia, sede dello IAC 2006 dove si discusse dell’Active SETI. Ricorda il Nautilus del Capitano Nemo

Comunicare oltre

Nel precedente articolo ho raccontato come si è giunti alla progettazione di messaggi per comunicare con altre civiltà (se mai ne scopriremo) e come questo abbia condotto alla ricerca di un metodo adatto a comunicare non solo nozioni matematiche e scientifiche, ma anche culturali.

Il primo e finora anche il più importante tentativo in tal senso sviluppò col workshop di Tolosa. Si tenne dal 30 settembre al 2 ottobre 2001 in occasione del 52° IAC (International Astronautical Congress), anche se fu ospitato in un hotel anziché nel centro congressi e non figurò nel programma ufficiale, essendo un’iniziativa indipendente. Era infatti organizzato dallo storico SETI Institute di Frank Drake, che ne aveva affidato la direzione a Douglas Vakoch, uno psicologo dell’Università della California che da un paio d’anni aveva iniziato a collaborare con loro.

I ricordi di allora

Comunicare - Corriere della Sera
Il Cosmic Call sul Corriere della Sera (25-05-1999)

Ricordo che c’era un clima molto particolare. Erano passate solo tre settimane dall’attentato alle Torri Gemelle e pochi giorni dopo proprio a Tolosa c’era stata una tremenda esplosione in un impianto industriale. In un primo tempo era stata anch’essa attribuita al terrorismo islamico (le indagini successive stabilirono invece che si era trattato di un incidente). Ciononostante, solo un paio di persone declinarono l’invito.

Tra quelli che ebbero la fortuna di riceverlo c’ero anch’io, insieme a una decina di altre persone, tra cui i due astronomi canadesi Yvan Dutil e Stéphane Dumas. Questi ultimi erano gli autori del Cosmic Call, il secondo messaggio interstellare della storia dopo quello di Arecibo, da loro inviato solo due anni prima, nel 1999, dal radiotelescopio ucraino di Evpatoria.

Questo messaggio era molto più ampio e raffinato di quello di Arecibo, però anch’esso riguardava solo la matematica e la scienza.

Comunicare - Arecibo
Il messaggio di Arecibo (16-11-1974)

A Tolosa per capire come comunicare la cultura

A Tolosa, invece, a tema c’era esplicitamente il problema di come comunicare la cultura. Per la prima e (finora) unica volta nella storia, si tentò davvero di farlo. Infatti, anziché limitarsi a tenere delle relazioni individuali come nei normali congressi, ci fu un vero lavoro di gruppo e abbastanza tempo a disposizione per farlo adeguatamente.

Il metodo scelto era piuttosto articolato. C’erano delle fasi di brainstorming, in cui tiravamo fuori tutte le idee che ci passavano per la testa, seguite da momenti di discussione, sia individuale che collettiva, volti a selezionare quelle migliori. Avevamo perfino dei “compiti a casa”. Alla sera ciascuno doveva preparare una propria riflessione su ciò che si era detto da presentare la mattina seguente.

Vakoch fu splendido nel suo lavoro di coordinamento. Dimostrò una capacità fuori dal comune di valorizzare al massimo il contributo di ognuno di noi e al tempo stesso di motivarci a fare un vero lavoro di squadra, nonostante quasi tutti ci fossimo incontrati lì per la prima volta. Se sono riuscito nel tempo a sviluppare capacità analoghe, è stato in gran parte proprio grazie all’esempio che lui mi ha dato in quei giorni.

Comunicare “andando oltre”

Stéphane Dumas (1970-2016)

Inoltre, la presenza del duo Dutil & Dumas rendeva tutto estremamente concreto. Stavolta avevamo un messaggio reale su cui basarci, per vedere come partendo da esso si sarebbe potuto andare oltre. In breve tempo si creò un clima fantastico. Yvan, in particolare, mi impressionò moltissimo. È sicuramente una delle persone più intelligenti e brillanti che abbia mai conosciuto e tra me e lui si stabilì subito una profonda sintonia. Nell’insieme, il workshop di Tolosa fu senza dubbio una delle esperienze più straordinarie della mia vita.

C’era un entusiasmo tangibile e la precisa volontà di arrivare a qualche risultato concreto, per quanto parziale e provvisorio, e almeno in parte ci riuscimmo. Purtroppo, però, di questo incontro, a suo modo storico, non è rimasta praticamente nessuna documentazione, oltre ai ricordi dei protagonisti, a parte quanto pubblicai io stesso, prima in un articolo sulla prestigiosa rivista “Acta Astronautica” e poi nel mio recente libro La vita extraterrestre. La cosa è indubbiamente paradossale, ma probabilmente nessuno si aspettava che questo primo tentativo riuscisse così bene. Né, soprattutto, che sarebbe rimasto un caso unico.

Comunicare - Dutil
Yvan Dutil

Relazioni individuali e poco lavoro di gruppo

Successivamente, infatti, organizzarono altri workshop sullo stesso tema, ma non più con questo stile. Di fatto, si tornò al metodo classico delle relazioni individuali. Brevi momenti di discussione, senza più un vero lavoro di gruppo, come a Tolosa. Anche le persone invitate cambiavano ad ogni incontro, il che impediva di avere una continuità tra i diversi incontri.

L’idea, come mi disse lo stesso Vakoch, era cercare di coinvolgere il maggior numero possibile di persone. Tornare quindi a lavorare allo sviluppo del messaggio in un secondo tempo, con un gruppo molto più ampio e rappresentativo delle varie culture del mondo. In teoria poteva anche essere una buona idea, ma se c’è una cosa che ho imparato dalla vita è che la formula del successo è “da cosa nasce cosa”. Quando qualcosa funziona, non significa solo che siamo stati bravi: è la realtà che ci sta indicando una direzione. Non darle ascolto per seguire un nostro progetto elaborato a tavolino non è quindi una buona idea e non funziona quasi mai. Non funzionò neanche allora.

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Il secondo workshop di Parigi

Qualche mese dopo, il 18 marzo 2002, si tenne un secondo workshop a Parigi, nella casa-museo (è piena di opere d’arte a tema “spaziale”) dell’astronomo Roger Malina. L’ambiente era affascinante e i partecipanti numerosi ed entusiasti, ma la limitazione ad un solo giorno impedì qualsiasi possibilità di una seria discussione. Benché Vakoch mi avesse chiesto di esporre nella relazione iniziale i principali risultati di Tolosa come guida per lo svolgimento dei lavori, ciò rimase lettera morta. Di fatto, ciascuno si limitò a tenere la propria relazione, come in un qualsiasi congresso.

Nei due anni seguenti né io né gli altri fummo più invitati, anche se restammo in stretto contatto con Vakoch. Ogni tanto ci arrivavano notizie di altri workshop da lui tenuti in giro per il mondo (uno anche in India), sempre con un notevole successo. Nulla però indicava che si stesse creando una rete di rapporti stabile, come sarebbe stato molto più probabile se i nuovi invitati si fossero trovati davanti un gruppo affiatato che stava già lavorando su un progetto preciso, anche se parziale e modificabile, anziché una persona sola, per quanto competente e preparata.

Il workshop del 18 marzo 2002 a Parigi a casa di Roger Malina (in basso a destra in piedi)

Le conseguenze del 11 settembre

Poi iniziarono i problemi economici. Dovuti in parte alle conseguenze dell’11 settembre (che per diversi anni dirottarono gran parte dei fondi dalla ricerca “pura” a quella dedicata alla sicurezza) e in parte a scelte strategiche sbagliate del SETI Institute, che resero impossibile continuare con i workshop. Così Vakoch, per mantenere in qualche modo viva l’idea, grazie all’incontro con l’antropologa canadese Kathryn Denning cominciò a organizzare incontri sul tema insieme alla American Anthropological Association. La collaborazione diede anche qualche risultato interessante. Ma ormai si era usciti dalla prospettiva originaria, tanto che i rapporti con i ricercatori non americani si ridussero sempre più.

La comunicazione interstellare subisce uno stop

Il colpo di grazia al lavoro sui messaggi interstellari venne, paradossalmente, dal più serio tentativo di rilanciarli. Nel 2006, allo IAC di Valencia, Seth Shostak, successore di Frank Drake alla guida del SETI Institute, mise a tema il cosiddetto Active SETI. L’idea di non limitarsi a cercare segnali di altre civiltà, ma di inviarne anche noi stessi. Fino ad allora era stato fatto solo in due occasioni: con il messaggio di Arecibo di Frank Drake e con il Cosmic Call di Dutil & Dumas.

All’inizio l’idea sembrò avere l’appoggio della maggioranza dei ricercatori. Poi la paura che ciò potesse essere pericoloso finì per prevalere, nonostante non sia giustificata, giacché, come ho spiegato nel precedente articolo, se un’invasione aliena fosse possibile, allora si sarebbe già verificata molto tempo fa, dato che se esistono altre civiltà tecnologiche sono sicuramente molto più antiche della nostra. Tuttavia, di fatto l’ostilità verso l’Active SETI finì per rendere tabù anche il lavoro sulla composizione dei messaggi, per quanto di per sé progettare un messaggio e mandarlo nello spazio siano due cose separate e distinte. Ma in questo genere di question gli aspetti psicologici pesano più degli argomenti razionali, anche fra gli scienziati.

Vakoch fonda il METI

Per questo nel luglio 2015, dopo ben 16 anni di fruttuosa collaborazione, Vakoch decise di lasciare il SETI Institute per fondare un nuovo ente di ricerca, che ha come scopo dichiarato, fin dal nome, METI (Messaging Extra-Terrestrial Intelligence), quello di inviare (e non solo progettare) messaggi ad altre civiltà. Purtroppo, però, la sua fondazione non ha fatto altro che rendere ancor più acuto il dissidio, mentre la sua attività è stata finora molto limitata, nonostante sulla carta possa contare su molti collaboratori prestigiosi.

Il problema è che il lavoro sul messaggio, per sua natura interdisciplinare, è sempre stato il principale punto di raccordo tra scienziati e umanisti, che a sua volta è sempre stato l’aspetto più bello e più caratteristico del SETI. Senza di esso, quindi, anche tale aspetto rischia di venir meno, come in parte negli ultimi anni è già accaduto.

Università dell’Insubria e InCosmiCon

Per questo l’anno scorso all’Università dell’Insubria abbiamo fondato un nuovo centro di ricerca, chiamato InCosmiCon (Intelligence in the Cosmic Cotext), che si occuperà, fra l’altro, anche di messaggi interstellari, ma inseriti nel contesto dello studio della natura dell’intelligenza. Da una parte, infatti, la ricerca di un modo per comunicare con altre civiltà può insegnarci molto anzitutto su noi stessi, perfino se il contatto non dovesse mai verificarsi. Dall’altra, questo orizzonte più ampio dovrebbe servire (almeno questa è la nostra speranza) a stemperare le polemiche e ad attirare un maggior numero di ricercatori.

Ma di questo vi parlerò un po’ più in là. Quando (speriamo il più presto possibile) la situazione del mondo sarà tornata alla normalità e anche il nostro centro potrà cominciare il suo lavoro.

Si può trovare di più su questo affascinante argomento nel libro “La vita extraterrestre”.  I video di due presentazioni, con la partecipazione dell’autore, sono disponibili sul canale YouTube della Associazione Alumni Insubria” e sulla pagina Facebook “La Finestra di Antonio Syxty”.