Globe Today’s

Notizie quotidiane internazionali

La “percezione” e la teoria “behavioral economics”

BeliEVIL CredereMALE

Che scherzi ci fa la nostra percezione? Sono sempre stato attratto e spaventato da come una frase casuale, uno slogan, un fumetto, una battuta fraintesa o un errore di battitura formino e incrostino una percezione sbagliata per l’eternità. Succede in ogni campo. Quante cose crediamo verissime solo perché le sentiamo spesso? Quante volte ci troviamo a dire “wow, credevo l’esatto contrario”? E quante volte siamo disposti a fare marcia indietro? Purtroppo quasi mai”. Luca Tramontin

La percezione è diventata una materia di studio grossa quando Daniel Kahneman ha creato la scienza dell’economia comportamentale (behavioral economics).

La “percezione” materia di studio

In pratica quando il mondo industriale ha capito che gli accordi per i missili e le autostrade hanno qualcosa in comune con gli accordi per la distribuzione dei jeans.

Ah no, guarda che nel mio campo è tutto diverso…

Nella mia tifosissima lingua ha insultato pesantemente gli industriali citrulloni che dicono “Ah, ma quella è roba per le bibite e i vestiti, INVECE nel mio campo guardano solo il prezzo e forse la qualità”.

Con i “Cognitive Bias” (i pregiudizi cognitivi) Dan the Man ha sbriciolato quell’INVECE e spiegato tecnicamente che anche le più fredde e incravattate scelte post-riunione risentono di fattori ambientali e soprattutto affettivi. Molti, avendo capito (ci voleva tanto?) che la percezione influisce anche sui bilanci aziendali, si sono scannati a capire e studiare a tempo di record.

Watt e placcaggi

Approfondendo i “Bias”, uno capisce anche perché le aziende elettriche inglesi e francesi e gallesi sponsorizzano le squadre di rugby (esempio tra tanti). Sperano di vendere quattro watt in più al supermarket? Ma dai, passiamo alle cose serie, con allegria ma seriamente. Le “grosse” puntano a una migliore percezione del marchio sapendo che questo avrà un ricasco positivo in diversi flussi e scorrimenti della vita aziendale.

Percezione - Pub
Pub inglese, al confine tra sociale e imprenditoriale. Contrariamente alla percezione

Esempio bello in periodo Covid

Molti pub inglesi hanno chiuso baracca, parliamo di locali con una precisa funzione sociale, aggregativa, fondamentali per l’integrazione, per l’anzianità. Qualcosa che va oltre i nostri bar. Ai quali non tolgo niente, ma è proprio la Britannia che è strutturata per alcol e urbanistica diversamente dalla nostra Europa del Sud.

Ma molti altri pub vengono tenuti in piedi da donazioni private, spesso di cittadini non ricchi. Perchè c’è affezione.

Ecco che l’industrialone mi dirà (bello convinto) che i suoi ponteggi in rame (che mi sono inventato io) non seguono le leggi della birra. Io dovrei rispondere con esempi di aziende meccaniche, edili etc. salvate con lo stesso meccanismo, ma non ne ho voglia, basta digitare su google e si fa prima.

Esempio brutto in periodo Covid

Molte palestre che hanno puntato solo su programmi fotocopiati, sconti e quattro giorni gratis se porti un amico hanno perso definitivamente l’utenza. E (peggio) non la ritroveranno all’apertura.

Hanno fatto i furboni, i concretoni, hanno campato con il copia-incolla come se le schiene e le amigdale fossero tutte uguali. E adesso affamano anche tutto l’indotto, oltre agli istruttori (mi dispiace molto per quelli che a questo gioco non si piegavano, quelli che “ci stavano” mi fanno pena sì, ma meno.)

Non ho detto questo

Non sto dicendo che chi chiude se lo merita, non attribuirmi mai questa frase, sto dicendo che anche in piena crisi ci sono delle letture fastidiose ma utili da raccogliere se si usa semplicemente la lista di “Bias” di Daniel the Key (Daniel la chiave). Sento decine di persone che hanno nostalgia della loro palestra anche se ne hanno una dentro la villa. Sento decine di persone che dicono “finito il covid mi ri-iscrivo a una palestra allegra, quella di prima era solo comoda”.

Compensativa

Contrariamente alla percezione col codice a barre, è proprio nei momenti di crisi, di isolamento, la fase in cui siamo disposti a spendere qualche soldo in più per ripartire, per ricollocarci. Un magnate (vero) degli occhiali mi ha detto che in una nazione povera (che non nomino) dove vestirsi bene costa troppo, si vendono molti occhiali costosissimi: “parché no te met mai i ociài in lavatrice”. Scienza del semplice, ma anche dell’efficace e dell’umano. La necessità di qualificarsi a volte è compensativa e non proporzionale.

Si, ma per spiegarlo al suo capo di allora ha dovuto legarlo al Suv comprato in leasing. Il super-boss viaggiava con l’equazione fissa “più schei, più affari”. Adesso il super-capo è mantenuto dalla moglie e l’ebete dei paesi poveri sta sovvenzionando l’asilo del paese. Vedi a volte come gira.

Identità, il tema trascurato che potrebbe salvare molte aziende e squadre

Perce-Covid 19

Lo sport professionistico che ha creato una forte affezione prima (ci vogliono anni amici miei) se la cava meno peggio di chi ha pensato solo a vincere. “Sono preoccupato, perché vinciamo ma non emozioniamo” mi ha detto anni fa il vero responsabile marketing di una squadra professionistica. Aveva capito tutto.

Prova adesso a vendere partite on demand di una squadra “fredda”.

Percezione - Robin Le Mesurier
Robin Le Mesurier, storico chitarrista di Rod Stewart e Johnny Hallyday, con una mazza da cricket. Quando un manager chiede schifato “cosa c’entra?” può aver ragione ma spesso significa che è caduto in un bias

Il decision fatigue

Si, Kahneman li ha listati e portati a scienza, ‘sti pregiudizi, e ci ha vinto anche il Nobel, adesso ne pesco uno tra tanti: il “Decision Fatigue”.

Dopo tante decisioni prese la qualità di analisi cala ed è più facile fare cappellate enormi (questo detto nel mio modo non-Nobel, ma vai ad approfondirlo, che vale veramente la non-pena).

Fa parte del passato recente, ma noi di SPORT CRIME lo abbiamo pagato sonoramente (anche se adesso ringraziamo che sia andata così). In fase di costruzione e finanziamento, parlando della prima serie internazionale di investigazione sportiva, trovavamo manager sia veri che finti esausti dal milione di proposte ricevute.

Non li ho mai giustificati, ma li ho sempre capiti. Tutti propongono, tutti hanno l’idea del secolo. Tutti videomaker, tutti registi, tutti hanno una casa di produzione, un trailer con la musica del vicino di casa. Il ricevente ha l’impressione di fare una scelta prudente e oculata e non la fa. A noi dicevano “ah si, anche mio cugino fa una web series”.

Io, al solito, te la racconto alla Olmo di Mai dire Gol, ma se leggi bene Kahneman puoi catturare un utensile mentale utile in qualsiasi campo.

Verificato da MonsterInsights