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La lezione di Balilla: “Che l’inse?” (“Che cominci io?”)

Che l’inse?” (“Che cominci io?”)

Che l’inse?: statua Balilla
La statua del Balilla

Pochi giorni fa, il 5 dicembre, ricorreva una commemorazione molto genovese, tanto da passare alla Storia con una famosa domanda in dialetto pronunciata da Giovanni Battista Perasso, detto Balilla, nel 1746, quando, al grido di “Che l’inse?” – “Che cominci io?” – diede il via all’insurrezione popolare della Città contro l’invasore austriaco, sottolineando il suo gesto con una pietra scagliata contro le truppe nemiche, dalle quali in seguito i genovesi riuscirono a liberarsi.

Quest’anno il ricordo di quella giornata e del giovane “eroe” è celebrato in Piazza Portoria, a Genova. Una statua del Balilla immortala l’impresa, alla presenza delle Autorità cittadine e di numerose classi, anche della scuola primaria, tra le quali la classe 4°B della scuola Nicolò Tommaseo che è parte del mio Istituto e che ha raccolto con interesse e curiosità la sollecitazione a rappresentare la nostra comunità scolastica.

Una pagina di storia locale che simboleggia la libertà

Non si è trattato solo di partecipare ad un evento promosso dal Comune, che lo scorso anno ha installato una nuova illuminazione per rendere più visibile la statua e quest’anno ha aggiunto una targa con la sintesi dell’episodio, ma di avvicinare i giovani e i giovanissimi studenti genovesi ad una pagina della storia locale che ha messo in luce il valore della libertà che caratterizza da sempre la nostra Città, e che è necessario sia difeso da tutti, anche dai più piccoli, perché spesso è proprio da loro che arriva la forza per cambiare le cose. Non saranno, infatti, molto più grandi dell’undicenne Giovanni Battista quei Partigiani che duecento anni dopo, quando Genova sarà invasa dall’esercito tedesco, riusciranno a liberarla prima dell’intervento degli Alleati.

“Scendi giù che sono di nuovo qui”

A questo proposito, un curioso ma significativo episodio, narra che negli anni terribili dell’occupazione nazista, una mano ignota scrisse in genovese sul monumento dedicato a Balilla “Scendi giù che sono di nuovo qui”. Non a caso il movimento partigiano è definito “il secondo Risorgimento”.

Al di là dell’aneddotica, sicuramente il gesto del piccolo Perasso è stato una delle prime pennellate nel grande arazzo del Risorgimento, un periodo i cui grandi cambiamenti e rivoluzioni si sono riverberati su tutti gli aspetti della società ottocentesca, dalla letteratura alla politica, dall’arte all’economia. I protagonisti furono in larga parte proprio ragazzi coraggiosi, disposti a sopportare la prigionia, l’esilio e spesso la morte, in nome degli ideali di giustizia e libertà, per giungere a conquistare l’unità dello Stato italiano ed avviare il primo passo verso la nascita del nostro Stato democratico e l’inserimento del Paese nel contesto europeo.

Di certo, questa prevalente partecipazione giovanile era dovuta al requisito della prestanza fisica richiesta dalle imprese militari e, probabilmente, anche al minor carico di legami e responsabilità familiari; tuttavia, lo slancio dei ragazzi dell’epoca verso l’adesione alle insurrezioni popolari e militari fu alimentato da un clima culturale che coltivava ed esaltava il ruolo che potevano assumere i giovani nella Storia.

 Da Mazzini al grido rinnovato dei giovani “Che l’inse?

Giuseppe Mazzini, nel 1831, scrivendo a Carlo Alberto, definiva la gioventù “bollente per istinto, irrequieta per abbondanza di vita, costante ne’ propositi per vigore di sensazioni, sprezzatrice della morte per difetto di calcolo”. Del resto, l’Associazione “La Giovine Italia” prevedeva la partecipazione di quanti non avessero superato i quarant’anni, anche se lo stesso Mazzini spiegò che si trattava di un limite anagrafico non invalicabile e che sarebbero stati accolti anche patrioti più “anziani”.

Oggi la preziosa eredità risorgimentale, così efficacemente immortalata dal gesto di Balilla, chiama la Scuola a trasmettere alle nuove generazioni l’importanza di non rassegnarsi mai ai soprusi e alle limitazioni della libertà, sia che le aggressioni appartengano a scenari bellici sia che colpiscano la sfera personale e, come purtroppo incessantemente continua ad accadere, manifestino prepotenze sessiste e brutalità di genere. Proprio per quest’ultima, drammatica, emergenza, i movimenti spontanei di tanti giovani, ragazze e ragazzi, che hanno fatto “rumore” per dire “basta” insieme, rappresentano un grande segnale di speranza, una pietra scagliata contro la violenza sulle donne, che si alimenta non solo di aggressività, ma anche di pregiudizi, stereotipi, paura, rassegnazione.

 E allora, al grido, rinnovato, di Che l’inse?”, ciascuno di noi, a qualunque età, possa fare la propria parte.

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