“Mare fuori” fa bene ai giovani telespettatori?
Mare fuori
Il mare da cui tutto parte e a cui tutto torna è il vero protagonista della serie crime Mare Fuori che da ben tre stagioni entusiasma e appassiona i telespettatori italiani. Quel mare che costeggia Napoli per 3 km che parte da Santa Lucia, da via Nazario Sauro, e arriva fino a Mergellina, dove finisce via Caracciolo, e che costiuisce una delle “vedute” più belle del mondo. Un mare che fuori dalle sbarre è blu e rassicurante, ma che dentro il cuore e l’animo turbolento dei ragazzi che stanno nel carcere minorile del capoluogo partenopeo è pieno di onde e sempre in tempesta. Mare fuori infatti racconta le storie di ragazzi e ragazze con meno di 18 anni che sono entrati lì perché “hanno sbagliato”.
Sono 3 i personaggi cardine
I personaggi cardine dei primi 3 episodi della prima serie che nel 2020 è stata per 20 settimane nella top ten delle serie tv più viste in Italia su Netflix, sono tre: Filippo Ferrari, giovane milanese , studente eccellente in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi che, in vacanza a Napoli, uccide per errore un suo caro amico. Carmine Di Salvo, figlio di uno dei più potenti boss della città, che quasi contemporaneamente a Filippo uccide (per un motivo non trascurabile) il figlio di un boss rivale.
Ciro Ricci, dentro anche lui per omicidio, ma di stampo totalmente diverso dagli altri due. All’interno dell’Istituto di Pena Minorile infatti detta legge, si è imposto sugli altri come capo, un vero e proprio piccolo boss. I primi due, pur non avendo nulla in comune e provenienti da due mondi diversi, ritrovandosi a condividere la stessa cella, diventeranno amici. Il terzo è il “cattivone” quello che darà del filo da torcere ad entrambi.
Una storia con tanti cliché
Ciò che racconta questa storia è contestualizzato da tanti cliché, troppi, come appunto il figlio di papà del nord italia “buono”, contrapposto all’aspirante capo di un clan camorristico, malvagio fino al midollo. È la storia di uno spaccato di vita abbastanza concavo da essere conosciuto da pochi. Per questo il mix pianificato dal regista Carmine Elia, e gli sceneggiatori Maurizio Careddu e Cristiana Farina, ha funzionato e funziona. I giovani che guardano Mare fuori sono attratti dal cocktail confezionato dalla Rai perchè all’interno trovano tutti quegli ingradienti intriganti che li coinvolgono: amore, passione e violenza.
Perchè, non dimentichiamo, che il male si iscrive nell’ordine del desiderabile,e i cattivi di Mare fuori piacciano almeno quanto i buoni. Il perchè è facile da intuire: di loro, infatti, se da un lato spaventano baldanza e violenza, quando via via (con maestria) vengono messe in risalto anche le fragilità e gli aspetti più umani, il gioco è fatto. Venendo a conoscenza delle loro insicurezze si cominciano ad amare giustificandone anche le malefatte.
L’omertà
Ma prima di arrivare in fondo a quegli animi controversi, quello che fa vedere la serie è il peggio di loro. Qualcosa che probabilmente esiste veramente ovvero l’omertà che regna sovrana all’interno del carcere. Un’omertà giustificata anche dalla polizia. C’è chi finge di non vedere. Chi sa e non parla. Ed ecco che vediamo consumarsi soprusi e violenze che restano nascoste pur essendo palesi davanti agli occhi di tutti. Napoli viene raccontata nei suoi aspetti peggiori, che ci saranno, per carità, ma vogliamo augurarci non siano i soli.
Sia fuori che dentro le mura del carcere sembra che i rischi siano sempre dietro l’angolo. Sembra che ragazze e ragazzi napoletani siano lì in agguato appena arriva uno da fuori per fregarlo. Esempio lampante il personaggio della zingara, che però parla napoletano perfetto, Naditza, che usa il suo fascino per rapinare chiunque le sia sottotiro, compreso il giovane milanese con cui poi si ritroverà al penitenziario, luogo che considera più sicuro di casa sua.
La scelta implicita
Tutti i protagonisti sembrano posti di fronte ad una scelta implicita: vivere o morire. E questo non va bene. Sappiamo che nelle puntate successive sarà l’amore a portare luce nei cuori di quei ragazzi, ma intanto per troppe ore si assiste ad un’apoteosi di compiacimento del Kitch, nel vero senso del termine, ovvero un prodotto di bassa qualità ma con pretese estetiche, di imitazione o falsificazione da originali. Mare fuori come Gomorra o de La Paranza dei Bambini nascono dall’esigenza di denunciare e scoperchiare quel pozzo senza fondo che è il mondo del crimine, anche minorile, e della mafia. Ma il messaggio che lancia può essere soggetto a freintendimenti. Vorrebbe essere una serie toccante e struggente, chissà infatti quanti adolescenti seguendola si sono chiesti e si chiederanno se avrebbero fatto lo stesso trovandosi al posto dei protagonisti in quella situazione.
Ci piace pensare…
Ma per fortuna di quelle situazioni nel mondo reale ce ne sono poche e ci piace pensare che non bastino le note di Per Elisa di Beethoven suonate dal giovane Filippo nel magazzino del penitenziario dove impensabilmente c’è un pianoforte a coda per far pensare che esiste un mondo migliore di quello. Ci piace pensare che quel mare che apre il primo episodio che vede tutti i ragazzi- galeotti su una grossa barca a vela sia quel mare di cui si debba godere sempre. Quello dietro le sbarre è un “privilegio” per pochi, per fortuna.