“Speravo che ovunque potesse essere casa”
Diario di un precario ai tempi del neo-liberismo
“Speravo che ovunque potesse essere casa” (edito da Bookabook) è uscito un anno fa, ma non lo ha letto quasi nessuno perché racconta una storia troppo vera e troppo banale. Il libro scritto da Marco Marino, giovane laureato napoletano in scienze della comunicazione, con numerosi master dai nomi inglesi e varie specializzazioni, anche queste dai nomi inglesi, altro non è che il diario di un disoccupato tranquillo che racconta in maniera dolce e mite il modo in cui quello stato dell’anima chiamata disoccupazione si trasforma prima in rassegnazione e poi in depressione. Due sentimenti che appartengono ormai ad un’intera generazione e ad un intero Paese. Il protagonista, come l’autore, e come molti altri giovani precari italiani, ha un curriculum pieno di diplomi, lauree, master, esperienze professionali, in Italia e all’estero e parla bene l’inglese, e anche un’altra lingua straniera e conosce tutto il pacchetto office e il mondo social. Ha fatto lavori qualificati (quelli per cui si era preparato) e i lavori che capitavano.
I dettagli di una vita
Marco Marino annota i dettagli della vita precaria di questo precario modello con il ritmo lento di chi non ha né la fretta della speranza, né la rabbia dell’indignazione. Ed è questo il ritmo che scandisce tutta l’esistenza, solo apparentemente frenetica, di quella gioventù italiana che è stata sacrificata sull’altare della flessibilità e che vive in un’eterna e rassegnata attesa. E mentre aspetta un lavoro, o la scadenza dell’ennesimo contratto a tempo, cerca di distrarsi e stordirsi in quella che è diventata una perenne movida notturna, in quell’industria di locali e localini che non risente della crisi, perché è la crisi che li rende necessari. Parcheggi notturni per sedare l’inquietudine di una generazione flebile e flessibile in cui sembra avverarsi, con drammatica precisione, la profezia di Luciano Gallino (uno dei maggiori sociologi italiani scomparso ndr).
Il lavoratore flessibile
Nel “Diario postumo di un lavoratore flessibile”, uscito nel 2002, Gallino immaginava il ritrovamento del racconto autobiografico di uno sconosciuto vissuto nell’Italia del terzo millennio, periodo, in cui “la venerazione della Flessibilità era una delle occupazioni principali delle popolazioni italiche”. “In ogni settore della vita sociale, culturale, politica, financo economica -scriveva amaramente Gallino- esse parevano anteporre tale culto ad ogni altro impegno o pensiero. Per la verità, i ricercatori non sono finora riusciti ad appurare se la Flessibilità fosse creduta essere, o si volesse far credere che fosse, spirito, sostanza, persona, archetipo collettivo o logo pubblicitario. Questo diario di un uomo che pare praticasse la Flessibilità, per convinzione o per obbligo, permette comunque di comprendere meglio quale incidenza essa avesse nella vita quotidiana.
Vite parallele
La vita del lavoratore flessibile descritta da Gallino nel finto manoscritto ritrovato, e quella del disoccupato senza nome raccontato da Marco Marino, sono due vite parallele, due vite rinviate sine die. Forse rinviate dopo la fine della flessibilità.
Intanto la vita del protagonista del libro, come quello della profezia di Gallino, scorre tra alloggetti di periferia, colloqui e contatti di lavoro, contratti continuamente in scadenza, uffici di collocamento, o centri per l’impiego, bui e deprimenti che solo a guardarli capisci che un lavoro lì non lo troverai mai. E poi viaggi, spostamenti in un continuo galleggiare nel limbo di una precarietà che finisce per rendere precario tutto.