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“Rebecca, uno spettacolo al buio” con tanta luce

Rebecca - flyer
Rebecca uno spettacolo al buio

Rebecca

Rebecca. Non è un’intervista immaginaria come quella di Atonin Artaud, ma è un’altra intensa e straordinaria esperienza da raccontare. Coinvolge quattro dei cinque sensi. Come dire, che se ne manca uno, gli altri aumentano di intensità per equilibrare il tutto.

Uno spettacolo al buio

Sembra strano sentir parlare di uno spettacolo al buio. Al buio solitamente non si vede nulla e quindi appare contraddittorio pensare di assistere a qualcosa che non si vede. Ed invece “Rebecca, uno spettacolo al buio” fa vedere più di quello che si possa pensare perchè anche se il senso della vista è proprio l’unico a non essere coinvolto, coinvolge tutti gli altri sensi dello spettatore.

La vita accanto

Tratto dal romanzo “La vita accanto” di Mariapia Veladiano (testo d’esordio dell’autrice, Premio Calvino 2010, finalista al premio Strega 2011) e con l’adattamento e regia di Marco Pasquinucci, Rebecca fa parte degli appuntamenti di “P.Arte da Noi “, la rassegna autunnale di Officine Papage che quest’anno è stata proposta nella sua nuova veste digitale, invitando i pubblici nella sala on line dI “Sofà Teatro “.  

Rebecca”, realizzato e fruito appunto completamente al buio, accoglie nella sua stanza virtuale un pubblico selezionato di un massimo di 25 spettatori – online invitati a spegnere le luci, a indossare l’auricolare lasciando però accesi i microfoni per unire i suoni della quotidianità ai suoni dello spettacolo. Un insolito invito ad un insolito “palcoscenico” animato esclusivamente dalle voci degli attori.

Ma anche se ognuno degli spettatori è a casa propria davanti al suo computer, che per altro rimanda uno schermo nero, ci si sente completamente trascinati ad entrare in punta di piedi all’interno della vita di Rebecca, una bambina” brutta” con una vita non facile che la rende subito simpatica a tutti.

Rebecca è quella voce lì

La sua triste storia, che potrebbe cadere nel patetico se non fosse così ben gestita dalla performance, viene raccontata da una voce maschile che ne indossa le vesti e ne incarna il personaggio. E’ la voce di Marco Pasquinucci, calda, suadente, rassicurante. Una voce che nessuno si chiede perchè sia maschile dovendo essere quella di una bambina. Non viene neppure da pensarlo, lo si accetta e ce ne si appropria. Rebecca è quella voce lì. Rebecca sta lì dentro.E ci sta bene. 

Marco Pasquinucci la voce della protagonista

Quella voce ci racconterà tante cose di lei. Di quando ha scoperto il suo nome solo il prima giorno di scuola, quando la maestra Albertina l’ha chiamata in classe, ci racconta della sua amica Lucilla, grassissima, che sillaba ogni parola che pronuncia, di zia Erminia che sembra una direttrice d’orchestra, di una madre distratta e malinconica, di un padre bello, ricco, ma ineluttabilmente un piccolo uomo. Ma soprattutto quella voce ci racconta di un buio “buono” (come la protagonista stessa lo definisce) in cui la piccola entra senza paura ed anzi le permette di proteggersi dal giudizio degli altri e di raccontarsi liberamente.

Una bambina brutta

Rebecca descriverà delicatamente al suo pubblico virtuale come in una confessione catartica quello che accade quando si è una bambina brutta. Ci farà capire che una bambina brutta vive con prudenza, che una bambina brutta non ha nessun ricordo, che una bambina brutta non ha alcuna aspirazione, conscia di questa sua bruttezza che inevitabilmente non le permette un futuro come quello di chi brutta non è. Ma attenzione che dietro a questa bambina brutta c’è il cigno della famosa favola di Andersen. L’anatroccolo suona il piano ed è anche brava, anzi bravissima.

La musica che come ci racconta “diventò la mia vita”, sarà anche quella che farà uscire fuori la sua bellezza, quella vera, quella in cui l’estetica è il minore dei valori. Ma la storia non vuole portarci lì, la storia ci butta dentro a sensazioni che presto facciamo nostre. Chi non si è mai sentito come Rebecca nella sua vita, donna o uomo che sia? Quante volte ci siamo sentiti inadatti, incompresi, non amati come avremmo voluto? Ebbene Rebecca è ognuno di noi. E lo è ancor più perchè non la vediamo, ma di lei percepiamo tutto. Il suo corpo diventa il nostro, la sua voce è quella della nostra anima. Un’anima desolata quanto percepisce che” Dio, se c’è, è disperatamente distratto”.

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