Paola Maccario si racconta al salotto letterario di Daniela

Paola Maccario scrittrice
Incontriamo Paola Maccario, scrittrice, ex sindaca del comune di San Biagio della Cima, ex presidente della comunità montana Intermelia ed ex floricoltrice. Oltre a diversi racconti ed alcune poesie, ha all’attivo la pubblicazione di tre romanzi: Diario dell’alpino Francesco Maccario, il soldato che voleva laurearsi alla Bocconi (Araba Fenice di Boves, 2017), La carta del burro (Araba Fenice di Boves, 2018) e I migranti del tempo (De Ferrari Editore2022). Ha vinto alcuni concorsi letterari tra cui il Premio Internazionale Antonio Semeria per la narrativa inedita nel 2022 e il premio speciale per la migliore poesia ligure al concorso Ossi di seppia nel 2021.
Collabora con l’associazione Amici di Francesco Biamonti che si occupa di valorizzare l’opera svolta dallo scrittore ligure scomparso nel 2001.
Ciao Paola, grazie per aver accettato di partecipare al mio salotto letterario. Leggo nella tua biografia che cominciato a pubblicare nel 2017. Come hai deciso di misurarti con la scrittura? Vedo che hai partecipato a diversi corsi. Cosa hai imparato? Consiglieresti alle amiche e agli amici del salotto letterario di frequentarli?
Grazie a te per avermi invitata nel tuo salotto. Per rispondere alla prima domanda devo dire che prima di un’autrice sono una grande lettrice e lo sono fin dalla più tenera età. La timidezza mi ha spinto verso la lettura e l’introspezione e a essere più propensa all’ascolto che all’esprimere i miei pensieri con gli altri. Perciò ho sentito la necessità di scrivere, inoltre ho sempre avuto problemi a ricordare le cose e la scrittura serviva per fissare i ricordi e i pensieri.
Scrivo quindi da sempre, ho riempito un considerevole numero di quaderni e di file di word. Il sogno di pubblicare qualcosa c’è sempre stato ma a ciò che scrivevo, a mio modo di vedere, mancava qualcosa, non era degno di essere stampato e letto da altri. Quindi ho deciso di frequentare alcuni corsi, prima di scrittura creativa e poi di revisione e editing del testo.
I corsi di scrittura creativa sono utili per cominciare a fissare alcuni punti fermi, poi ognuno deve crearsi un proprio stile, decidere a quale lettore rivolgersi, farsi un retroterra culturale, una base solida su cui fondare la propria espressività. I corsi di revisione del testo e di come presentare un lavoro a una casa editrice li consiglio ma occorre prestare attenzione, oggi l’offerta è vasta e non tutto è all’altezza delle aspettative. È fondamentale scegliere con cura, ma soprattutto è fondamentale “imparare” a leggere, imparare a riconoscere la bravura di un autore e assimilarne le fondamenta.
Il tuo ultimo romanzo è una distopia che si misura con la problematica ambientale, sempre più rilevante al giorno d’oggi. Come ti è venuta l’idea? Perché questo tema è tanto importante per te?
Da sempre nutro una profonda sensibilità verso le tematiche ambientali, ma è stato il mio ruolo di sindaco, all’indomani della devastante alluvione del 2000, a rendermi davvero consapevole della fragilità del nostro territorio. Ricordo ancora vividamente quei giorni: camminavo sugli argini feriti del Verbone insieme a Francesco Biamonti, un grande scrittore e un uomo capace di guardare il mondo con occhi profondi. Le sue parole, dense di riflessione sul legame tra l’uomo e la natura, sono state per me un lascito prezioso. Lui, già segnato dalla malattia, sembrava affidarmi un testimone, una missione da portare avanti nel tempo.
L’idea di scrivere narrativa ambientale, o climate fiction, germogliava in me già da anni. Ho letto, ho studiato, ho attraversato concetti come antropocene, restanza, paesaggio e territà, cercando di intrecciare queste riflessioni in una narrazione fantastica. Durante il periodo pandemico, quel tempo sospeso mi ha permesso di dedicarmi pienamente a questo progetto: un romanzo che riunisse le mie passioni, le mie letture, un racconto capace di avere la forza di una favola, ma con le radici ben salde nella realtà.
Perché proprio questo tema? Perché se perdiamo l’ambiente, perdiamo tutto. Non ci resterà più nulla da amare, da custodire, da raccontare.”
Il tuo primo romanzo è invece il diario di tuo padre, un alpino. Raccontaci un po’: chi era Francesco Maccario?
Intanto il diario è importante per me perché mi ha permesso di superare la paura di pubblicare qualcosa di mio. La storia è importante in quanto racconta la storia degli IMI, internati militari italiani, che sono stati i primi a resistere al nazifascismo, la loro fu una resistenza senz’armi come la definì Nuto Revelli. Mio padre era un alpino del Pieve che svolgeva il servizio militare quando si ritrovò a partire in guerra coi reduci dalla ritirata dalla Russia. Lui avrebbe voluto studiare e invece si ritrovò dopo l’armistizio deportato per due anni e mezzo nei lager tedeschi, fu tra i 600’000 che dissero “no” alla repubblica di Salò.
Il tema della memoria è un altro tema che inserisco sempre nei miei romanzi, indipendentemente dal genere.
Nel tuo secondo romanzo ti misuri con l’amore e con i limiti che convenzioni sociali e appartenenza religiosa comportavano nel ventesimo secolo. Quanto di tutto ciò è ancora attuale al giorno d’oggi? Siamo diventati più tolleranti oppure no?
Nel mio romanzo La carta del burro racconto una storia vera, come avevo già fatto con il mio primo libro, Il diario dell’alpino Francesco Maccario. Inizialmente, il progetto mi era stato commissionato con l’intenzione che restassi una ghost writer, ma successivamente mi è stato chiesto se volessi assumermi la maternità del testo, e ho accettato.
La storia si basa su eventi reali, con una forte presenza di elementi legati alla superstizione, che oggi per fortuna è quasi del tutto scomparsa. Tuttavia, per quanto riguarda le convenzioni sociali e religiose, credo ci sia ancora molto lavoro da fare. Sono argomenti che rimangono estremamente attuali, perché, sebbene alcuni passi avanti siano stati fatti, certe dinamiche continuano a influenzare la vita di molte persone.
Oltre alle vicende dei protagonisti, il romanzo tocca fatti storici poco conosciuti, che ritengo importante ricordare. Dimenticare il passato è sempre un rischio, perché la memoria è fondamentale per comprendere il presente e costruire un futuro di pace.
Sei stata sindaca e vicesindaca di San Biagio della Cima. Che cosa ti ha lasciato quell’esperienza? Hai dovuto superare delle difficoltà in quanto donna? Cosa consiglieresti a delle giovani che vogliono darsi alla politica?

L’esperienza amministrativa, durata oltre venticinque anni, mi ha insegnato molto e mi ha sottratto altrettanto. Ho dedicato tutto il mio tempo e il mio impegno a lavorare per migliorare il mio paese. È stata un’esperienza che rifarei e che consiglio, anche se oggi vedo che molti giovani faticano a credere nella politica.
Non ho affrontato particolari difficoltà per il fatto di essere una donna, quanto piuttosto per il mio modo di pensare e agire. Ho sempre mantenuto una visione personale e indipendente nelle scelte pubbliche, il che spesso mi ha portato a scontrarmi con schemi rigidi e ripetitivi, difficili da scardinare. Questo atteggiamento, alla lunga, mi ha messo fuorigioco, ma non rimpiango nulla. Per me è fondamentale restare fedele ai miei principi e non essere ricattabile. Preferisco fare un passo indietro e lasciare spazio a chi è più facilmente manovrabile.
Ai giovani che vogliono intraprendere un percorso nella politica o nell’amministrazione, consiglio di farlo con coraggio, ma anche con piena consapevolezza. È un percorso difficile, che richiede integrità, determinazione e una grande capacità di resistenza. Ma è anche un’opportunità unica per lasciare un segno positivo nella propria comunità.
Sei stata per alcuni anni floricoltrice. La tua era una passione? Vedo che continui a dare una mano all’azienda di tua cugina. Cosa ti ha dato e ti da il rapporto con la terra?
Sono stata coltivatrice diretta per 33 anni, occupandomi di rose, ginestre, mimose e ruscus. Ho chiuso la mia attività quando la piccola dimensione della mia ditta individuale non era più sostenibile. Fino al 2023 ho lavorato come bracciante agricola nell’azienda di mia cugina, imparando moltissimo, soprattutto lavorando in vigna e in cantina. Posso dire con certezza che il lavoro di vignaiolo nella nostra zona è una fatica immensa. Chi critica il prezzo del Rossese spesso non ha idea di quanto impegno, sudore e sacrificio ci siano dietro ogni bottiglia.
Il rapporto con la terra, per me, è sempre stato essenziale. Mio padre mi ripeteva spesso: qualsiasi lavoro tu faccia nella vita, devi fare un’esperienza con la terra. Infatti lui era funzionario di banca ma non ha mai smesso di coltivare le sue campagne. La terra è maestra di vita. Oggi comprendo appieno il senso di queste parole, soprattutto quando leggo e scrivo di territà. Abbiamo preso troppa distanza dalla terra, dal nostro pianeta, e credo che sia fondamentale ritornare ad avere un legame diretto con esso, ritrovare quel contatto che abbiamo smarrito. Il rapporto con la terra non è solo lavoro fisico, ma anche una lezione di vita, una connessione profonda con le nostre radici.”
Che progetti hai per il futuro?
Per il futuro ho diversi progetti, soprattutto narrativi. Sto lavorando al seguito de I migranti del tempo e, parallelamente, a un altro romanzo dal titolo provvisorio Storie di Pietra. Quest’ultimo rientra nel genere del romanzo di formazione, con elementi di bio-fiction. Sono storie che mi stanno molto a cuore e in cui cerco di esplorare nuovi temi e approfondire il mio stile narrativo.
Ci lasci una citazione da uno dei tuoi libri preferiti? Giusto un assaggio!
Certamente, ti lascio una citazione che amo profondamente. Non è tratta da un romanzo, ma da un intervento di Francesco Biamonti del 1992 su Vento largo, raccolto in Scritti e parlati. È una frase di una potenza disarmante: “Che cosa si può fare, adesso, se non un romanzo che gioca tutto se stesso in quegli spazi che si aprono, in quei crepacci dell’animo umano in cui si intravede un mondo perduto e nello stesso tempo un mondo che nasce; se non mettere in scena questa lacerazione, questo passaggio, in quest’ora che sta tra la luce e la tenebra, tra la calma e il vento, insomma; se non affidarsi a una percezione della realtà quanto mai difficile e sospesa, come è difficile e sospesa la condizione umana…”
In queste parole c’è una lucida consapevolezza della complessità e della fragilità dell’essere umano, del nostro tempo e del nostro territorio che ha valenza universale ed è esattamente ciò che vorrei riuscire a trasmettere quando scrivo.
Grazie di cuore, Paola.
