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Panda. La prima automobile non si scorda mai

Beh… che c’è da aggiungere? Più chiaro di così!!

Panda

Panda il primo amore non si scorda mai. Pardon! Panda la prima automobile non si scorda mai.

Giusto per “collegarci” alla puntata precedente, in cui il giovane Carlo ricordava le sue avventure e soprattutto i suoi viaggi in “500” con il suo papà. Oggi invece tratteremo della prima automobile in possesso del nostro autore. Non sarà stata “una splendida torpedo blu” come quella della canzone del mai dimenticato Giorgio Gaber, ma pur sempre di un onorevolissimo mezzo di trasporto. La Panda giustappunto!

 “Permis de conduire”

La mia prima automobile, una Panda Invernale Millegradi, arrivò due anni dopo la mia patente.

Solo che a me, una volta conseguito l’agognato “Permis de conduire”, serviva urgentemente un mezzo di trasporto, per rimorchiare! Fortuna che a quei tempi mia zia aveva la macchina e me la prestava spesso e volentieri. Purtroppo questa zia era molto religiosa, cattolica praticante, devota, bigotta! Una suora mancata. Aveva una macchina che sembrava una chiesa: dentro ci teneva crocifissi, madonnine, un piccolo altare. Dietro c’era una statua di San Cristoforo, che s’illuminava insieme agli stop, frenando. La macchina me la prestava volentieri, ma non facevo bella figura. Era una Fiat 128 P.P.: Padre Pio. Costruita a San Giovanni Rotondo con le offerte! Un’automobile che per farla partire bisognava pregare. Se tentavi un “puttantour” si spegnevano le candele. Del resto, mia zia ci andava solo a messa.

Grazie al cielo riuscii a “rimorchiare”. O no?

Grazie al cielo, una volta riuscii comunque a rimorchiare.

Era una ragazza molto bella, educata e un po’ timida. L’avevo conosciuta in discoteca e la convinsi che poteva fidarsi di me, che l’avrei portata dritta a casa e lei salì su questa specie di duomo ambulante. Poi, una volta sotto casa sua, mi disse: “Arrivederci, don”. Scese facendo genuflessione e non la rividi mai più. 

Con i mezzi di trasporto ho sempre avuto un rapporto conflittuale. Una volta scrissi una canzone che s’intitolava “Amore in Panda” e con mia soddisfazione il testo fu pubblicato su un giornale: Quattroruote. Parlava dell’importanza che ha l’automobile nel rapporto uomo-donna. L’auto era quel mezzo di trasporto, usato come alibi da noi adolescenti che non concludevamo mai niente e dicevamo: “Eh, se solo avessi una macchina! …”

È difficile rimorchiare, più facile essere “rimorchiati”

Purtroppo la mia timidezza con le donne non mi ha mai permesso di rimorchiare. Come tutti i timidi sono stato rimorchiato, due volte: una volta dall’ACI in autostrada con la Panda Invernale, e una volta dalla Capitaneria di Porto, col mio materassino. Un altro difetto di quella Panda Millegradi era nei sedili. Un’auto che si rispetti dovrebbe averli reclinabili, la mia aveva i non-reclinabili di serie. Così, armato di pochi soldi e tanta pazienza, andai da un demolitore. Con lui fui sincero, dissi: “Signor demolitore, io non ho mai avuto una donna, manco pagando. Sì, qualche fidanzatina all’asilo; ma il sesso, quello vero, violento, quello dove prendi una donna e la baci sulla bocca, quello, mai! Ho bisogno dei reclinabili!”

Senza battere ciglio il demolitore disse: “Tranquillo, ho giusto il reclinabile di una Panda demolita che era di un ragazzo come te, non l’aveva mai reclinato.”

Il sedile del peccato

E così misi sulla Panda il cosiddetto “sedile del peccato” … Peccato non averlo usato. Mai!

Dopo due anni d’inattività arrivò la lettera del papa che lo ordinò “Sedia Santa”!  Ero a terra, demoralizzato. Ero certo che con la macchina tutto sarebbe diventato facile e invece niente, nemmeno un’amica. D’altronde meglio così, che ci facevo con un’amica? Io volevo una fidanzata! Di buona lena, ricominciai la caccia, stavolta nelle discoteche. Poi, dopo notti insonni a girare per balere, locali notturni e night club, trovai la mia preda in una latteria di Fegino, alle sei del pomeriggio.

Una ragazza molto simpatica, molto intelligente, laureata… Basta così.

La prima volta

La prima volta che m’imboscai con lei percorsi 350 chilometri, un po’ per scaldare l’abitacolo, un po’ perché non sapevo dove portarla.

Alla fine, in una zona sopra Genova Principe, trovai un boschetto e mi fermai. Una volta fermi, il problema più impellente era occultare l’interno dell’abitacolo per evitare sguardi indiscreti. Come se non bastassero i maniaci, che vengono per guardare, ci sono anche i pensionati, che vengono per criticare.   

Il primo istinto sarebbe togliere le foderine e incastrarle nei finestrini, ma io non avevo le foderine! Mi sentivo smarrito, confuso, e cercai conforto guardando le macchine vicino alla mia, e facendo questo scoprii un mondo parallelo di persone dignitose che, una volta imboscate, si trasformano in cavernicoli! Come quelli che davanti ai vetri mettono le cartine stradali, o quelli che mettono i fogli di giornale. Qualcuno ha addirittura le tendine e, i più organizzati, le riloghe. 

L’appannamento dei vetri: sicuro ed economico

Ma il sistema ci sarebbe, ed è il più antico, sicuro ed economico: gratis! Quello dell’appannamento vetri. Solo che c’è un piccolo problema: se vi trovate sulla macchina ferma a chiacchierare con un amico maschio, dopo 3 minuti e 28 secondi è tutto appannato. Con una donna il nostro fiato non appanna più e il motivo è molto semplice, è perché ci ricordiamo che fiato è sinonimo di alito! E in dolce compagnia, noi uomini abbiamo paura che non sia in regola con le vigenti norme del concorso, quindi lo droghiamo mangiando le peggiori caramelle sul mercato: pastiglie che appena le metti in bocca, ti trasformano le labbra in due lampade al neon, poco dopo cominci a trasudare menta e se poi bevi un bicchier d’acqua fredda, ti si stacca l’esofago e lo perdi per sempre! La prima volta che m’imboscai con lei, mi sentivo ultrasicuro. Avevo un alito fantastico, gli occhi erano iniettati di menta, sfortunatamente mi andò di traverso la pastiglietta. Stavo soffocando.

La fidanzata s’innervosì, mi diede due colpetti sulla schiena, poi uscì dalla Panda, dicendomi: “Ragazzo, il tempo è denaro!” E non la vidi mai più!

Tratto da Secolo Focaccia e Fantasia di Carlo Denei

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