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“Michele La Ginestra” il teatro è la sua vita e non solo

-Michele La Ginestra-

Michele La Ginestra, foto
Un’intensa immagine di Michele La Ginestra

Sull’intensa carriera televisiva e cinematografica di “Michele La Ginestra” ci si può informare con la solita ricerca su Google. Ma lui è soprattutto un protagonista della scena teatrale. Ha partecipato come attore, regista o autore a circa 100 spettacoli teatrali; tra tutti, indimenticabile il suo Rugantino al Teatro Sistina per la regia di Pietro Garinei, prima con Sabrina Ferilli e poi con Serena Autieri.

Michele La Ginestra: Con Serena Autieri nel Rugantino di Garinei
Michele La Ginestra con Serena Autieri nel Rugantino di Garinei

Io lo conosco personalmente da poco tempo. Ha avuto la cortesia di invitarmi al suo spettacolo “Come Cristo comanda”, condiviso con Massimo Wertmüller. Una magistrale prova di attore di entrambi, che mi ritengo fortunato ad aver visto proprio nella sua ultima replica dopo 4 anni di successi.

Mi piace questo “ragazzo”, professionalmente e umanamente. Mi farebbe piacere che anche voi lettori lo scopriste sotto entrambe gli aspetti. E così quando sono andato a salutarlo dopo lo spettacolo, gli ho chiesto di rispondere a qualche domanda per il nostro magazine.

Nella prima parte dello spettacolo continuavo a chiedermi dove potesse sfociare quel dialogo tra poveracci, cosa dovesse succedere di così forte da irrompere in quell’apparentemente banale scambio di battute tra due romani sperduti in Palestina. Poi mi accorgevo che man mano si insinuava nel discorso la figura carismatica di Gesù fino a diventare la protagonista della rappresentazione e i due effettivi protagonisti mettersi al suo servizio.

L’intervista informale

Innanzitutto sei stato capace di trattare di Gesù in una forma originalissima, considerando l’enorme produzione artistica su tale argomento. Quindi sarei curioso di sapere come sei arrivato a questa scelta autorale.

Sono partito dal presupposto che l’evento più eccezionale che sia capitato, in assoluto, è la morte e la resurrezione di Gesù Cristo. Chi la poteva raccontare, che non fosse già stato considerato nei lavori precedenti?

Ho pensato ai due centurioni che erano di guardia al suo sepolcro. Mi sono immedesimato in loro, cercando di comprendere quello che poteva essere per loro il trauma di un evento di così grande portata. Mi piaceva raccontarlo con la loro semplicità, con il loro confrontarsi con un’analisi personalissima, anche con l’aspetto non insolito che qualcuno fa finta di niente quando assiste ad un evento eccezionale.

Oggi ci vuole molto coraggio a mettere in scena la figura di Gesù, sia sotto l’aspetto di interesse del pubblico e sia sotto l’aspetto tecnico economico di produzione teatrale. Hai fatto un miracolo?

Parlare di Gesù è importante, sia per i credenti che per i non credenti. Quando qualcuno porta un messaggio d’amore e di eguaglianza tra gli uomini, che ti trasforma Dio da elemento estraneo a papà, io penso che valga la pena di urlare il più possibile questo messaggio.

Poi qualcuno è credente scopre altre sfaccettature, qualcuno che non è credente si interroga su alcune domande che non s’è mai poste. È un rischio che si deve correre soprattutto per chi è chiamato ad essere portatore di messaggio da un palcoscenico. Io ho fatto una scoperta bella e mi fa piacere condividerla con gli altri in un percorso che poi continua ad essere di ricerca.

A te Michele, cosa ha affascinato del Cristo?

Come è possibile che un messaggio di amore, di speranza, di vita eterna, di respiro non possa essere condiviso, non possa affascinare? Ma ti pare possibile?

Quello di Gesù è un messaggio di speranza, di un mondo a misura dell’uomo creato da Dio. Oggi la persona che guarda il mondo e che ne vive i travagli forse trova irreale o idealistica questa visione positiva. Tu come vivi questo stridore tra la visione cristiana e la realtà spesso disumana?

Questo stridore deriva dal libero arbitrio. L’uomo può decidere tra il bene e il male ma noi siamo chiamati a vivere questa vita in preparazione di quella eterna. Io so che c’è un Padre buono che ci accoglierà e ciò che ci è riservato è in base al percorso che abbiamo fatto in questa vita. Se si ha una prospettiva di vita eterna, cosa sono questi pochi decenni che viviamo su questa terra se non strumenti per vivere meglio la vita futura?

Tutti noi siamo stati giovanissimi, un po’ ribelli e spesso refrattari alle prediche degli adulti… salvo poi pentirsi di qualcosa. Anche oggi questa storia si ripete e si tende a giudicare, dall’alto della propria esperienza, i giovani che invece stanno cercando il loro percorso che passa anche attraverso errori e cadute. Cosa ti andrebbe di dire, istintivamente, alle nuove generazioni?

Quello che mi verrebbe da dire è far capire il valore unico di questa esperienza di vita, del proprio essere. Anche il peggiore degli uomini non viene scartato dal Padre. Cominciamo a valutarci per quello che siamo, ma siamo tutti figli dello stesso Padre.

Veramente c’è un messaggio enorme: qualsiasi errore uno compie, qualsiasi incapacità momentanea nell’affrontare alcune situazioni, non ci sarà nessuno che ci giudicherà con il dito puntato. Ma ci sarà un Padre che accoglierà un figlio, facendogli capire dove è stato l’errore.

Questa è la bellezza che devono comprendere i giovani: tutti siamo portatori sani di bellezza. Ognuno nel suo specifico, nella nostra quotidianità, può donare la propria bellezza. Spesso dico che se uno, per esempio, fa il barista e riesce a regalare un sorriso la mattina a chi entra per far colazione, ha fatto un’opera buona quanto quella che posso fare io nello spettacolo, regalando un sorriso e un momento di riflessione prima di andare a dormire.

Tu hai interpretato il famoso musical Rugantino con la regia di Pietro Garinei. Mi dici qualcosa su questa esperienza unica?

È stato un salto di qualità della mia vita artistica non indifferente. Quando avevo 15 anni, dopo aver visto questa commedia musicale al teatro Sistina, sono uscito dicendomi: da grande io voglio fare Rugantino!

E questo tarlo me lo sono portato avanti per altri 15 anni. Intanto avevo fondato il Teatro Sette a Roma e, quando seppi che ci sarebbe stata una nuova edizione di Rugantino, preparai uno spettacolo con Sergio Zecca, un attore del cast precedente, a cui chiesi di portare Garinei nel mio teatro. Lui venne a vedermi e poi cominciò a pensare che potevo essere l’interprete giusto. Mi fece fare vari provini finché non decise di coronare questo mio sogno. Pensare che prima di me il ruolo lo avevano ricoperto Nino Manfredi ed Enrico Montesano, mi ha spinto a dover essere capace di sfruttare questa occasione e vincere questa sfida… che mi ha cambiato la vita.

Nella prossima stagione porti in teatro tre spettacoli. Ce li vuoi presentare tu?

Comincio con “La matematica dell’amore”, ormai entrato nella storia del teatro perché lo replico da 10 anni. Molto divertente ma anche molto emozionante e commovente. È uno spettacolo che non ha età. Recito con Edy Angelillo con cui è nata una bella amicizia sin dai tempi di Rugantino.
“Il piacere dell’attesa” è l’ultimo che ho scritto, quello della maturità.
Volevo parlare del tempo che trascorre, quanto ne buttiamo, quanto valorizziamo poco l’attesa. C’entra sempre la speranza; non sappiamo più attendere perché siamo a corto di speranza.
Il termine significa tendere a…. tendere a un qualcosa a cui noi aspiriamo.
Perciò se noi abbiamo una giusta speranza, sappiamo anche attendere e trascorrere il tempo nel modo migliore.
Riuscire a parlare di un tale argomento, facendo molto ridere lo spettatore senza mai una volgarità, è una sfida che abbiamo vinto a mani basse. Ha sorpreso anche me, è stata una grande soddisfazione e mi diverte anche farlo perché parliamo di argomenti importanti ma con la capacità di sorridere, di ridere, che dovrebbe appartenere alla nostra vita quotidiana.
Quando ho scritto “Ti posso spiegare” volevo convincere che non era necessario rivolgersi a testi stranieri per far ridere, che mi costringevano a fare mentre io affermavo che noi siamo più capaci di riuscire a far ridere il pubblico anche con la semplicità.
I testi li ho scritti e li interpreto io.
Hanno tutti un comune denominatore: riempire i teatri e riuscire a far ridere senza essere mai volgari.

Certo non si può raccontare una persona come Michele in poche righe. Ma non vi sembra che bastino per essere stimolati ad andare a vederlo in teatro?

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