“Matar”al bullismo: un imperativo sociale

“Matar” al bullismo o un più prosaico “no al bullismo”, scegliete voi. Ma la parola d’ordine è una sola in ogni forma e in ogni lingua: basta con il bullismo, anche quello cyber, virtuale. Maddalena Carlini, in questa occasione, opta per un argomento, purtroppo, sempre di attualità.
Matar al bullismo
In questo tempo di notizie virali (purtroppo anche fuor di metafora), la crescente preoccupazione per le manifestazioni di bullismo che colpiscono i pre adolescenti e gli adolescenti sta contagiando strati sempre più larghi di opinione pubblica.
Molto più che in passato, infatti, a questa forma di aggressività “taurina” – dall’etimologia della definizione del fenomeno – connotata dalla sistematica violenza del bullo nei confronti di una vittima, è rivolta l’attenzione di psicologi e sociologi, educatori e famiglie. In particolare, è soprattutto la scuola chiamata a dare risposte in grado di prevenirne o contrastarne le manifestazioni attraverso la messa in campo di efficaci strategie pedagogiche e didattiche.
La scuola sempre in primo piano
In realtà, come accade per altri contesti che riguardano la complessità della realtà educativa – l’inclusione della disabilità, la “cittadinanza scolastica” per gli alunni provenienti da altri Paesi, l’incremento della permanenza degli alunni a scuola come esigenza comunitaria – da tempo la Scuola precede la Società civile e si occupa del problema, dal punto di vista formativo e metodologico.
Le pietre miliari della legislazione scolastica relativa al bullismo risalgono al 2007, anno in cui è stato novellato lo Statuto delle studentesse e degli studenti ed emanata la Direttiva n.16 dell’allora Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, atta a introdurre iniziative di carattere preventivo e ad istituire l’Osservatorio regionale permanente sul bullismo, per un’azione di monitoraggio, prevenzione e contrasto delle manifestazioni di aggressività e violenza.
Malgrado le norme ora ecco il cyber bullismo
Evidentemente, al di là dell’efficacia e della lungimiranza dei provvedimenti normativi, non è bastato, se , come è accaduto dieci anni più tardi, si è dovuto prendere atto che il fenomeno non solo non sia stato sconfitto, ma che si sia addirittura evoluto in una sorta di “bullismo.2”, assumendo l’insidiosità del cyber bullismo, una forma di molestia che agisce per via telematica attraverso la denigrazione e la diffusione di messaggi e foto, la persecuzione delle vittime nei social, con una conseguente, enorme dilatazione del raggio d’azione e una ricaduta psicologica spesso insostenibile da parte del soggetto bullizzato.
Il cyberbullismo consente all’aggressore di agire fuori dai limiti spazio temporali, forte di un anonimato che, benché illusorio – in Rete rimane sempre traccia di quanto viene postato – lo pone ad una distanza sociale chi viene colpito, del quale non è percepibile la sofferenza.
La Legge 71 del 2017, che ha chiesto ad ogni Istituzione scolastica di nominare un docente Referente, ha coinvolto le famiglie degli studenti prevedendo, in caso di bullismo, l’informazione ai genitori, l’assistenza alla vittima, sanzioni e percorsi rieducativi per l’autore dell’aggressione – fisica, verbale, psicologica, mediatica – sino al possibile ammonimento del Questore per gli ultra quattordicenni.
La sicurezza in rete
Oggi, la sicurezza in Rete, celebrata dal Safer Internet Day nella Giornata Mondiale istituita l’11 febbraio dalla Commissione Europea, è un banco di prova fondamentale per le scuole, che devono essere in grado di far acquisire agli alunni lo spirito critico verso i contenuti digitali e la capacità di indirizzare le normali pulsioni della crescita verso adeguati obiettivi di autorealizzazione.
Certamente, il venir meno di una funzione normativa forte e di un saldo quadro valoriale, oltre che la caduta della fiducia nelle Istituzioni, non consentono più agli Insegnanti e alle famiglie di limitarsi ad indicare con autorevolezza positivi modelli di comportamento. Così come la precarizzazione, in atto in tutti gli aspetti della Società civile, impedisce alle generazioni più fragili di poter contare sulla costruzione di un progetto di vita tale da richiedere l’assunzione di responsabilità personale e verso i pari. È un mancato riconoscimento di regole che spinge i ragazzi a cercare forza nel gruppo, dove prevalgono gli impulsi momentanei in un sistema di norme interne al gruppo stesso, magari garantite da un leader in cui identificarsi.
Fare squadra per “matar”al bullismo
Sono scenari inquietanti e, a vari livelli, vicini a noi. Per questo dobbiamo fare squadra tra scuola, genitori, Enti Locali, Associazioni sportive e ricreative.
Anche le forze politiche si stanno mobilitando, come testimonia l’impegno del Consigliere regionale Pippo Rossetti, primo firmatario di un’iniziativa legislativa proposta nel Consiglio regionale ligure per una serie di interventi volti ad aiutare le vittime di bullismo nella cornice più ampia di un rilancio dell’educazione giovanile.
Il fine è quello di ricostruire un’alleanza sociale che possa davvero rappresentare un fronte comune contro il bullismo, maschile e femminile, quest’ultimo dilagante e maggiormente insidioso in quanto meno visibile.
“Matare” il bullismo non il bullo
Perché, non dimentichiamolo mai, è il bullismo che deve essere “matato”, non il bullo o il cyber bullo, che, per altri versi e con conseguenze meno eclatanti, diventa vittima di una vulnerabilità emotiva che chiede aiuto con una rabbia che dice tante cose: che forse è stato egli stesso vittima di bullismo, forse non ha potuto contare su solidi ed efficaci ruoli genitori lai, sicuramente ha bisogno di riscatto.
Il bullo e il bullizzato ci chiedono, in fondo, la stessa cosa: di non essere lasciati soli.

Dirigente Scolastico
