La grande eredità che ci ha lasciato Alessandro Manzoni
L’eredità del Manzoni
Quando si parla di eredità, si pensa subito a un lascito in denaro o in beni materiali. In effetti esistono altre donazioni che non hanno valore, anzi lo hanno ma non è misurabile in cifre o in denaro. L’eredità che ci ha lasciato Alessandro Manzoni, ha un valore etico e sociale incommensurabile. Basta saperla leggere, capire e renderla contestuale.
Castano, riccioluto e dall’aspetto austero
Era castano di capelli, riccioluto e mantenne un aspetto austero fino all’età matura. Come tutti i poeti che si rispettino si cimentò nello scrivere versi a 16 anni e non si fece scrupoli nel farli leggere a illustri della letteratura come Vincenzo Monti. Certo, per far questo, voleva dire che poteva permetterselo. Ovvero che aveva i canali giusti per arrivare fino a questi personaggi, cosa non difficile con una madre come la sua.
Alessandro Manzoni
Stiamo naturalmente parlando di Alessandro Manzoni di cui oggi ricorre l’anniversario della sua nascita avvenuta 237 anni fa, il 7 marzo 1785. Essere nato nella casa di Cesare Beccaria, tra i più vivaci esponenti dell’Illuminismo lombardo, collaboratore del «Caffè» e autore dell’opera che lo rese celebre, Dei delitti e delle pene, ebbe gran peso nel pensiero di Manzoni.Nel trattato di suo nonno materno infatti si enunciavano principi rivoluzionari. Come l’abolizione della pena di morte, la certezza e la proporzionalità delle pene, la necessità della prevenzione sociale dei delitti, l’atrocità della tortura. Un “libriccino”, così lo definì Manzoni nel terzo capitolo della Storia della Colonna infame , che ebbe un grande successo in tutta Europa ma che soprattutto influenzò profondamente la sua riflessione etico-giuridica.
Gli anni di Milano lo portano verso Il Romanticismo
Gli anni che Manzoni vive a Milano sono quelli di una delle città più aperte ed attente. Nella Milano della Restaurazione, a partire dal 1816, si avvia un fervente dibattito letterario che vede coinvolti molti intellettuali dell’epoca che “facevano cameretta”, un modo idiomatico milanes per dire che “ si faceva crocchio”, “ci si riuniva a discutere”. In questi incontri si parlava di letteratura, si leggevano e commentavano i testi prodotti, si discuteva delle questioni della vita culturale milanese di quegli anni. Ricordiamo che eravamo nel periodo delle grandi trasformazioni della cultura e della società verificatesi fra Sette e Ottocento con l’avvento del Romanticismo. Nel cenacolo il personaggio di maggior rilievo e autorevolezza fu indubbiamente il Manzoni.
Manzoni che aveva abbandonato il classicismo per approdare anche lui al Romanticismo, Manzoni che dietro la crisi delle idee rivoluzionarie compie la sua esperienza religiosa. La sua conversione al Cattolicesimo genera in lui il bisogno di trasferire la nuova condizione spirituale nell’ambito della creazione letteraria, con un’opera radicalmente differente dalle precedenti, che fosse scritta (come prometteva in una lettera al Degola) “per la gloria di Dio”.
Manzoni “scopre” il Vangelo
La sua scoperta del Vangelo che trova molto vicino al popolo, agli umili, lo porta a scrivere l’opera sua più nota, che fa parte del percorso di formazione di ogni studente, I promessi sposi, un romanzo dalla veste umile. Manzoni è molto attento al nuovo pubblico borghese che esige una letteratura utile ed impegnata. Per questo rinuncia alla lirica dei sentimenti personali per quella dei valori collettivi. Si orienta verso i contenuti storici (rimase impressionato da Ivanoe di Walter Scott) decidendo di scrivere un romanzo che rappresenta i milanesi del 1630, ma in cui vi è anche il forte intento, raggiunto, di unificazione della lingua. Un’opera che ha contribuito a fare dell’Italia una nazione unica, riconoscibile, con una lingua nazionale propria.
Ci lascia una grande eredità
E se Giovanni Macchia e Umberto Eco parlano di pagine che risentono del romanzo gotico, e non sono i soli se si pensa alla recensione che Edgar Allan Poe scrisse nel 1835 leggendo una traduzione del romanzo di Manzoni, in cui parlò di aspetti terrificanti soffermandosi sui capitoli della Monaca di Monza, noi preferiamo mettere in luce che quel Male aborrito ed esorcizzato dal narratore è corretto ed attenuato da una “fiducia in Dio” che “raddolcisce” i “guai” e suscita la speranza di “una vita migliore”.
Saranno i trionfi mariani di Lucia a suggellare la lotta tra il Bene e il Male che anima il romanzo. Una lunga narrazione in cui i grandi fatti della storia si mischiano coi piccoli fatti del popolo. Come le grandi scelte dei grandi ricadono sul popolo. Questo l’immenso insegnamento che ci ha lasciato Manzoni nel suo successo letterario che ha portato il lettore a riflettere su grandi costanti umane che vanno al di là delle esperienze dei protagonisti. Eredità mai tanto attuale come ai giorni di oggi.