La danza per Paul Valéry il “filosofo” poeta
Paul Valéry il filosofo poeta
Fra l’Ottocento e Novecento si impone la figura del filosofo-poeta o del filosofo-artista, colui che intende e promuove il “sapere dell’anima”, che è una conoscenza dettata dal “sapere del corpo”. Il corpo pensante viene prima della ragione, cosicché la danza appare come la modalità più adeguata di espressione dell’essere, divenendo “attestazione dell’assoluto, momento originario del pensiero”. Paul Valéry con il suo concetto per cui “l’arte tutta è danza” abbraccia a pieno l’idea del sapere del corpo come originario del pensiero.
Nato a Sète il 30 ottobre 1871, esattamente 152 anni fa, il poeta francese sarà consacrato erede di Mallarmé e maestro del simbolismo. Dopo l’esordio poetico condannato da sé stesso, dopo una profonda crisi intellettuale che non gli aveva più fatto prendere la penna in mano, nel 1892 (la “notte di Genova”) Valéry ricomincia a scrivere. Questo grazie alla spinta dell’amico Andrè Gide. Ma lo fa su basi completamente nuove, rinnegando di fatto le apparenti svenevolezze della letteratura della decadenza e passando con decisione più o meno ferma ad un tentativo cosciente di rigore intellettuale e razionale.
L’opera più famosa spartiacque fra passato e futuro
La jeune Parque, la sua opera più famosa, dal titolo assolutamente oscuro che rimanda a una tradizione lontana, è il testo che fa da spartiacque fra passato e futuro. Valéry qui fa qui i conti con la coscienza malata di assoluto in lotta contro la costrizione dei sensi, in cui il presente è la consapevolezza della lotta, non il superamento del problema. Per tutta la vita cerca una nuova definizione del pensiero e dell’arte, cogliendo nella danza la sua vera essenza. Nelle sue opere dedicate alla danza, leggiamo che chi danza va a coincidere con la danza stessa, senza possibilità di distinzione, nel momento in cui riesce a cogliere e vivere dentro di sé l’Assoluto e la sua presenza.
Danzare significa fondere le dimensioni fisica, psichica e spirituale, esprimendo un’unica realtà, divenendo così un simbolo, l’espressione coesa di tutte le componenti della persona. Per Valéry la danza è spostamento nel presente da un tempo quotidiano ad un tempo capace di “rendere presente l’eterno”. Per Valéry, chi si dedica alla danza incarna l’essenza stessa del pensiero, liberato da ogni vincolo linguistico, dialettico o concettuale. La danza è la forma che assume l’azione pensante per essere, è il pensare nell’atto stesso del suo prodursi.
Nel suo svilupparsi come azione, crea il proprio spazio-tempo e apre una porta sull’eterno e manifesta la costante tensione dell’uomo verso l’assoluto. Per Valéry la danza è la metafora perfetta per rappresentare la possibile guarigione dall’abuso del linguaggio intellettuale, perché fa parlare il corpo e l’intelletto insieme, mentre agiscono. Un codice espressivo di gran lunga più libero perché staccato dai limiti che il bisogno di significati impone alla parola. Nessun significato per l’agire estetico, solo suoni, movimenti, musicalità.
Una danza di idee intorno alla nozione di uomo
I suoi Cahiers (261 quaderni manoscritti) sono una vera e propria danza di idee intorno alla nozione di uomo. Nessun sistema filosofico lo interessava poiché l’unico sistema possibile per lui è l’assenza di sistema, ovvero una molteplicità di punti di vista, dove nessuno può ritenersi mai esaustivo. Valéry sembra voler dire ai filosofi: “Non cercate di capire la danza, imparate piuttosto a danzare!”. La filosofia deve essere un’arte, una danza di concetti e idee mai definitivi, ma instabili come lo sono le pose della ballerina.
Nel suo L’âme et la danse (L’anima e la danza), pubblicato in Francia nel 1923, Valéry afferma che lo scopo della danza coincide con la danza stessa, non è possibile operare alcuna distinzione; sperimenta quindi in sé l’Assoluto e la sua realtà, diviene “paradigma universo”. Nel dialogo filosofico, i tre personaggi del testo, Socrate, Fedro e il medico Erissimaco giungono ad una conclusione: la danza conduce alla verità ed è custode della bellezza. Danzare significa fusione delle dimensioni fisica, psichica e spirituale, espressione di una realtà unica, divenendo così un simbolo, l’espressione coerente di tutti gli elementi della persona. Per Valéry la danza è estatica, si muove nel presente quotidiano ed è di volta in volta capace di “rendere presente l’eterno”.
Per Paul Valéry le ballerine sono “meduse nell’acqua”
La danza appare come un’affermazione assordante del corpo creatore, che è in grado di affermare e annientarsi nello stesso istante del proprio sforzo infinito, dissipando creativamente l’energia. La danza, alleanza salda di spazio e tempo. Valéry fa della ballerina la metafora di un pensiero e di un’opera poetica nel suo svolgersi, congiungendo finito e infinito, poesia e pensiero. La danzatrice con la sua danza è l’essenza stessa del pensiero, libera da ogni vicolo dialettico e linguistico.
Il poeta è ammiratore della snella levigatezza della danza, che teme la fretta e la concitazione della corsa, ha timore della frenesia concatenata alla perdita di sensibilità del moto senza tregua, connessa al progresso. Splendide le descrizioni che fa delle ballerine, assimilate a meduse nell’acqua, tutte intessute su campi semantici di liquefazione, di evanescenza, di perdita del centro; di giunchi o alghe insinuate dalla corrente. Nulla anche per lui di legato all’accademicità della danza classica che mira al virtuosismo, malgrado la sua frequentazione con Edgar Degas, che passava ore e ore a raffigurare le ballerine dell’Opera pur non amando affatto né la danza, né le ballerine (e le donne in generale). Ma questo è tutto un altro discorso che approfondiremo in altra occasione.