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La comunità cinese di Milano parla del coronavirus

La comunità cinese di Milano è la più importante d’Italia e probabilmente d’Europa. Noi di Globe Today’s, abbiamo voluto intervistare Jack Jiang, giornalista e opinion leader della comunità cinese nel nostro paese. L’argomento, naturalmente il Coronavirus. Ecco la nostra esclusiva.

(L’intervista è stata rilasciata l’11 Marzo poche ore prima del nuovo Dpcm del Governo italiano)

Jack Jiang

La comunità cinese rappresentata dal giornalista Jack Jiang

Classe 1994 all’età di 22 anni fonda “Micromedia Communication Italy”, prima società di comunicazione cinese in Italia. Nel 2017 è stato invitato dal canale nazionale “CCTV”, per far conoscere la storia non solo della comunità cinese a Milano, ma di tutti quelli emigrati in Italia.

Nel 2018 fonda la piattaforma “Weishi Italy”, il più grande portale di informazione in Italia. Con sedi a Milano, Roma e Firenze.

Nel 2019 è stato invitato dall’università Cattolica del Sacro Cuore per il convegno nazionale “Migrations/ Mediations. Media e arti performative nelle politiche di inclusione”

L’intervista

Jack Jiang sei molto giovane sei nato in Italia? Fai parte della seconda generazione cinese?

Sono nato in Cina, ma sono qui dall’età di 14 anni, ho frequentato la scuola in Italia e oggi sono un giornalista che svolge quotidianamente la sua attività.

Il tuo punto di vista e quindi della comunità cinese, in particolare quella milanese, sulla situazione sanitaria in Italia, dovuta all’epidemia di coronavirus qual è?

In Italia, all’inizio è stata fatta prevenzione, ma non adeguata da subito. Per capirci, in Cina quando è scoppiata l’epidemia, il problema è stato affrontato immediatamente applicando la quarantena. I cittadini erano obbligati a restare in casa, non potevano uscire. Gli abitanti di Wuhan hanno rispettato subito le consegne del governo e le strade della città erano vuote, non girava nessuno.

Qui all’inizio, quando hanno scoperto i primi tre casi di coronavirus a Roma: due turisti cinesi positivi e un italiano ritornato dalla Cina, è vero che gli hanno messi subito in isolamento allo Spallanzani, ed è anche vero che l’Italia è stato il primo Paese a chiudere i voli diretti con quella zona di rischio, però la comunicazione ufficiale e quella dei media, non si è da subito rivolta ai cittadini, diramando con la giusta frequenza gli avvisi di pericolo e di corretta prevenzione, tipo le maschere e c’è dunque voluto più tempo a tutti per interpretare la reale gravità della situazione.

Cos’è cambiato, ammesso che sia cambiato, il rapporto tra comunità cinese e italiani dopo questo evento?

Diciamo che all’inizio ci sono stati episodi seppure limitati, di discriminazione contro i cinesi, c’è stato un caso di violenza in un bar di Milano se ricordi, qualche problematica sugli autobus, anche a Torino. Ora fortunatamente, queste vicende non ci sono praticamente più, resiste ancora il pensiero di qualcuno che ci accusa di aver portato il virus, ma lo vedo, anzi lo leggo più che altro nei commenti on line. Il vero tema invece è che il virus riguarda tutti, quindi l’attenzione di tutti deve essere centrata su come affrontare il problema.

Mi collego a questa ultima affermazione: alla luce delle recenti notizie, che ci dicono che in Cina la situazione sta migliorando, ritieni sufficienti i provvedimenti presi dal governo italiano?

Un immagine emblematica della situazione oggi pandemica

Dovrebbero fare ancora di più, non dovrebbero fare uscire di casa nessuno, tranne casi di assoluta necessita, neanche per lavoro, quelli che possono devono lavorare da casa: lo smart working. Le fabbriche bisogna fermarle. Perché se la gente continua a muoversi è inutile chiudere province e la nazione. Dovrebbero, usare il metodo cinese. Tutti a casa per 14 giorni, così si vede chi ha il virus. No? Se si continua a muoversi, questa cosa qua, il coronavirus non si ferma più.

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Se tutto è chiuso, a parte le necessità improrogabili, come si affronta ad esempio l’esigenza di approvvigionamento?

Usi take away o applicazioni che consegnano a casa, oppure considerato che i mercati alimentari sono aperti, ogni famiglia potrebbe, e basterebbe farlo una volta alla settimana, incaricare un familiare o una persona a fare la spesa per tutti.

Alla fine di questo periodo, le conseguenze economiche per l’Italia saranno pesanti. Penso anche per le vostre attività. Come pensate di ripartire?

Ora non ci siamo ancora confrontati, siamo ancora tutti in casa. La mia attività, facendo il giornalista non si ferma ovviamente, io lavoro sui media è comunico in Cina quello che succede in Italia. Per ripartire, non so, ma è un momento di riflessione e di solito in un momento così grave e difficile, il pensare fa bene. Io dico che ogni crisi crea sempre nuove opportunità”.

Questo è davvero un bel pensiero Jack. Tornando a questa difficile situazione, hai un suggerimento da dare a tutti e alla comunità internazionale, sempre prendendo spunto dalla drammatica esperienza di WUAN?

Il suggerimento a mio avviso più importante e seguire le direttive del proprio governo. I governi condividono le esperienze e quindi sono in grado di dare le indicazioni giuste, la cooperazione, per esempio sta per portare in Italia dalla Cina, è partito ieri, un carico di attrezzatura, mascherine e non solo, ma anche tecnici e dottori. Questi ultimi, saranno utili ai colleghi italiani, non per insegnare a curare, ma per confrontare l’esperienza di Wuhan, essendo stati i primi ad aver avuto a che fare con il coronavirus. 

Cosa insegna questa drammatica esperienza secondo il tuo punto di vista?

Insisto sul concetto di comunicare, condividere, cooperare. In un mondo così globale quello che oggi è un problema in un piccolo punto del mappamondo può diventare in tempi rapidissimi, un enorme macchia che avvolge questo ipotetico mappamondo. E io vedo quelle tre parole, come unica soluzione per tutti.

Com’è la vita a Milano ai tempi del coronavirus?

Non è drammatica. Nel senso c’è ancora la fila al supermercato anche se a distanza di un metro e i bar e ristoranti sono ancora aperti e la gente gira.  I negozi cinesi sono tutti chiusi invece, perché noi abbiamo subito due volte l’epidemia, una volta in Cina dalla voce dei nostri parenti e ora qui. Un po’mi preoccupa. Chiuderei tutto. Per 15 giorni si può fare. Per 15 giorni ne vale la pena.