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Ingegneria e fatica. Parliamo della fatica dello spettatore

Le sirene della Polizia devono partire al momento esatto per non sovrapporsi ai dialoghi: un assistente fornisce il segnale senza farsi vedere ne sentire.

Ingegneria e fatica. Questa volta la rubrica “Lo sport nelle immagini”, si trasferisce dalla parte dello spettatore. L’ultima volta l’argomento “Guardare con le orecchie “(parte prima), ha stuzzicato molto l’attenzione dei lettori, quello di oggi si basa sull’importanza di risparmiare fatica. L’ingegneria della fiction.

Risparmiare fatica??? Ma non parliamo di Sport? Sì, infatti in questo appuntamento parliamo della fatica dello spettatore.

Le maglie sbagliate

Come al solito partiamo da un esempio facile, collaudato e spero perfino banale: quando la tua squadra gioca con colori diversi, per questioni di sponsor, di beneficenza o altro, si prova un senso di disagio, giusto?

E quando le maglie delle due squadre in campo sono troppo simili anche. Si prova un senso di affaticamento che ricorda il lavoro più che il relax. Fanno eccezione (ma non del tutto) gli sport con le squadre separate, tipo volley e pallapugno. Ma anche in quei casi l’occhio preferisce distinzioni nette. Perché? Per un principio molto semplice, anche il subconscio si carica o si sovraccarica.

La partita a maglie insolite o troppo simili non sarà mai la tua preferita nei ricordi, quando torneranno i “vecchi” colori dirai “finalmente!”.

Rilassati e goditi… la tensione

Ok, nessuno di noi è completamente stupido, quindi “basta ricordarsi” dirà qualcuno. Sì, non è sbagliato, ma il “ricordarsi” è comunque un lavoro neuro-sensoriale, e non dobbiamo MAI dimenticare che noi offriamo divertimento.

Paradossalmente, per far usufruire meglio della tensione della partita o della fiction, dobbiamo garantire un certo relax allo spettatore, che è il nostro capo e cliente allo stesso tempo. Relax neurale e tensione agonistica o narrativa? Non è un controsenso? No, è l’unica alternanza che garantisce il divertimento audiovisivo vero.

Deve essere libero di concentrarsi sulla tensione della storia o della partita, non deve faticare con la retina o il cervello.

Il cervello al lavoro sgradito

Hai presente quando si impalla la TV? O il computer? Facci caso, oltre al nervoso che tutti conosciamo si prova un senso di stanchezza, di resa. Sì, perché il cervello (Luca Tramontin è uno specialista di questi processi cerebro-sensoriali) “vuole” le immagini e i suoni giusti, e se li riceve sbagliati li processa rapidamente, ma nel frattempo è successo qualcos’altro.

Ingegneria / Ingegnerizzare

E allora come si risparmia la fatica dello spettatore? Uniformando i suoni, i colori, dando unità, limando, caratterizzando. 

Non entro nel dettaglio ingegneristico, anche perché lo seguo, lo approvo ma non lo conosco e soprattutto non lo so fare. Ma so che sembriamo degli psicopatici quando lavoriamo ore o giorni su un minuto di suoni che a tutti sembra andare già bene così. Certo, a livello amatoriale è perfetto, ma deve essere visto o sentito anche negli IPad, nei telefonini, nelle televisioni di vario tipo, magari posizionate male in casa. 

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L’alto livello richiede un grosso processo ingegneristico, se guardi una TV locale senti forti picchi di volume, se guardi uno «Sherlock Holmes» degli anni ‘70 con Jeremy Brett hai una forte idea di “morbido” anche se si narra di crimini.

E se si guarda in case rumorose? O in viaggio? Qui l’ingegneria fa la differenza tra lo stancarsi e il divertirsi e affezionarsi.

Il parente che ti dice «Ma tanto la gente non sta a guardare quello» è immancabile, fa parte delle malattie professionali. Ma sbaglia. E rompe, soprattutto se è il trentesimo.

La lagna dei sottotitoli e la dignità dello sport nel cinema

«Sì, ma in che lingua? Ma non è meglio in inglese? Io i sottotitoli non li sopporto perché o guardo o leggo». Che solfa!

In realtà se tutti gli altri sensi vengono risparmiati da un lavoro “subliminale” serio, la mente ha “spazio” per i sottotitoli, vedi la BBC, che trasmette Montalbano, Gomorra, le serie svedesi in lingua originale. Ormai la tendenza è quella, la persona vuole gli accenti veri, le voci reali, preferisce prendere i significati da un senso diverso (quello visivo) e tenersi il suono che avrebbe se fosse lì. Lo sport può fare eccezione?

Ma dai, l’assorbimento sonoro è ancora più importante. Si vede nei film di boxe, quanto “stonano” i pugni finti, e i “ciuff” dei canestri fatti al computer?

Lo spogliatoio farlocco

Dialoghi sovrapposti ai suoni dell’atletica: entrambi devono arrivare “puliti” allo spettatore. Daniela Scalia dirige il set a Rovigo. (sempre ingegneria)

E veniamo a noi: quando mai in uno spogliatoio si sentono accenti perfetti? I doppiaggi italiani fanno eccezione mondiale per un preciso motivo storico (da noi si doppia e si pretende accento standard dai tempi del Duce), ma all’estero e nella realtà i giocatori vengono da posti diversi, le squadre sono piene di stranieri, che parlano la lingua “di squadra” come seconda o terza.

E c’è sempre una giungla di intonazioni e pronunce. Un accento altoatesino in uno spogliatoio di hockey ghiaccio per noi è un valore, una ricchezza culturale da esporre, idem un accento veneto o argentino in quello di rugby.

Invece per molti dirigenti delle tv che guardate (e sovvenzionate) sono svarioni amatoriali.

Ve li immaginate i nostri della Pallapugno San Leonardo con accenti non imperiesi? Ma dai.

Alla prossima puntata.

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