Il salotto letterario di Daniela con Daniele Cargnino
Daniela Mencarelli Hofmann intervista Daniele Cargnino, poeta, scrittore e libraio. Presenterà il suo ultimo romanzo al Teatro dell’Attrito di Porto Maurizio (IM) il 19 aprile

Daniele Cargnino
Incontriamo Daniele Cargnino, poeta e scrittore torinese, titolare della libreria La Ciurma. Daniele ha lavorato anche come sceneggiatore e come Dj per una radio libera torinese e si è dilettato con la musica punk suonando il basso.
Ha pubblicato tre sillogi con la casa editrice Ensemble: “La sposa nella pioggia” (2018), “Blu oltremare” (2019) e “I depressi odiano l’estate” (2021). Tra il 2022 e 2023 sono uscite altre due raccolte: “Fallimentare urgenza creativa“ (Ed. Il Leggio) e “Anoressia sentimentale” (Ed. Porto Seguro), a cui ha fatto seguito “L’antidoto al morso dei poeti” (2024), sempre per Il Leggio.
Insieme a Laura Patrizi ha pubblicato il romanzo “Schegge di luce“ (Ensemble, 2021). Alcune poesie di Daniele sono state pubblicate sul quotidiano La Repubblica. Alla fine del 2024 è uscito il suo secondo romanzo “Le vite intraviste. Come applicare fuoco alle ombre “per Golem Edizioni. Il romanzo sarà presentato al Teatro dell’Attrito di Porto Maurizio (Imperia) il 19 aprile prossimo.
Ciao Daniele, grazie per aver accettato di partecipare al mio salotto letterario. Raccontaci un po’ chi sei e del tuo rapporto, oserei dire intimo, con la scrittura.

Ciao Daniela, grazie a te. Io sono uno scrittore abbastanza improvvisato, ho iniziato con le poesie, sono passato poi alla forma racconto per approdare da poco alla prosa. Ma in realtà fin dall’inizio c’era già questo stile, questa forma, in cui la poesia si univa alla prosa e si trasformavano a vicenda. Probabilmente è l’unico modo in cui so scrivere e in cui esprimo e dò voce ai miei pensieri, alle sensazioni che sento, ai sentimenti che provo.
Il mio rapporto con la scrittura è un rapporto molto profondo e sincero, oltre che, come dici tu, intimo. È un rapporto un po’ complicato a volte, ci si prende, ci si lascia, ma può dare piccole soddisfazioni. Basta solo essere onesti con se stessi e lasciare che le parole scorrano sulla carta, come una specie di scrittura automatica. Lascio che siano le frasi a prendere il sopravvento, e sono io il primo a essere curioso di dove mi condurranno. Alla fine, è un gioco, non mi sono mai preso troppo sul serio quando scrivo, e forse è anche per questo che riesco a mettermi -quasi- completamente a nudo.
Citando Kerouac nel tuo ultimo romanzo ci lasci intendere che per te non c’è distinzione fra poesia e prosa, puoi spiegarci meglio?
Come dice il vecchio Jack, la poesia è prosa e viceversa. È il modo in cui pensiamo nel nostro cervello, senza barriere o punteggiature, il flusso del nostro inconscio, da quando siamo svegli a quando sogniamo. È provare a vivere la vita nonostante le delusioni e gli abbandoni. Sono tutti i ricordi e le nostalgie che ci portiamo dietro, consapevoli che il passato non tornerà più. Come puoi descrivere tutto questo – per quanto mi riguarda solo con una commistione di prosa e poesia, in cui non c’è alcuna regola quando scrivi, solo quella della creatività e dell’immaginazione.
Hai pubblicato molti libri di poesia, nei quali mi sembra che ricorrono temi quali la condizione umana e il dolore di vivere… insomma una poesia fortemente autobiografica. C’è qualche poeta a cui fai riferimento in particolare?
Sì, credo di sapere scrivere solo di quello che conosco meglio, cioè me stesso. E certe volte nemmeno di quello, visto che non si finisce mai di esplorarsi. Però penso anche che se non sei sincero, letterariamente parlando, il lettore si accorge di queste discrepanze e ti scopre. È chiaro che una certa dose di finzione in un romanzo ci va sempre, ma come diceva Pessoa il poeta è un fingitore, quindi dove finisce l’elemento autobiografico e dove inizia quello della fantasia?
A proposito di poeti, categoria di cui non mi sento assolutamente di farne parte, quello imprescindibile per me è Cesare Pavese, le sue poesie sono quanto di più bello composto nella storia della letteratura. Poi apprezzo molto la poesia del quotidiano, purtroppo quella aulica con i paroloni faccio sempre più fatica a leggerla, forse perché non mi ci riconosco più. Qualche nome? Ungaretti, Michele Mari, ma anche tanti bravi cantautori.
Anche il tuo ultimo lavoro, “Le vite intraviste. Come applicare fuoco alle ombre”, è un romanzo fortemente autobiografico che racconta il dolore di una perdita e la crisi esistenziale che ne deriva. Ce ne vuoi parlare?
È la mia prima esperienza in cui cerco di dare un senso a quello che ho sentito di avere dentro, verità o finzione che fosse. Ci sono elementi autobiografici, altri no, li ho solo presi in prestito dalla mia mente senza che li abbia veramente vissuti. È un romanzo abbastanza sperimentale, credo si possa definire così, forse di non facile lettura o comunque non immediata, ma nel quale ci ho messo veramente tutto me stesso.
Si va avanti e indietro nel tempo sperando di non rimanerne bloccati, si rimpiange ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, ci si immerge nella testa del protagonista senza nessuna garanzia di trovare la rotta giusta per uscirne. È un romanzo fatto di piccole poesie d’amore e rabbia, di frammenti sparsi, di sogni dimenticati al mattino, di verità in tasca che poi si sono rivelate bolle di sapone, di citazioni e furti che vorrebbero essere veri e propri omaggi letterari, di stelle e pianeti lontani sui quali tutti vorremmo scappare prima o poi. Ma c’è anche un po’ di sesso, molto vento, finestre che non si aprono più, onde che si ripiegano su se stesse e molto altro.
Come mai la scelta del continuo cambio del registro narrativo? Scrivi in prima, seconda e terza persona, e poi lasci addirittura la parola ad altri… In particolare con l’uso della seconda persona singolare si direbbe che l’io parlante diventi una specie di super-io, la tua coscienza morale, per così dire.
Allora, questa era una cosa assolutamente non voluta. Diciamo che nella prima stesura era tutta in prima persona. Poi cambiando i capitoli ho capito che era necessario cambiare anche i punti di vista, e così sono passato al tu. Per poi finire addirittura con le voci degli altri.
Volevo che il protagonista fosse analizzato, giudicato, spogliato, esposto, perdonato, picchiato, chiuso in una stanza con i propri demoni e sensi di colpa, sottomesso e poi di nuovo scusato. E se siamo empatici, noi piangiamo e ci arrabbiamo con lui e verso di lui, per come non ha saputo tenersi quello che aveva e anziché fare qualsiasi cosa, ha preferito bere dieci caffè al giorno, scrivere lettere senza indirizzo, drogarsi e masturbarsi. In quanto all’io come coscienza morale, io direi che è una vera e propria tortura, che segue il protagonista in qualunque anfratto e ogni volta che lo trova lo riporta davanti al fatto compiuto, cioè quello di essere un granello di sabbia in un grande deserto che si chiama mondo.
Il tuo romanzo precedente, “Schegge di luce”, scritto a quattro mani con Laura Patrizi, racconta il rapporto epistolare fra una romanziera vivace e un poeta malinconico che vivono lontani l’uno dall’altra. Come è nata l’idea di questo libro?
“Schegge di luce” ha rappresentato un tentativo di fare una cosa un po’ diversa dalle poesie che in quel periodo stavo buttando giù per una nuova raccolta. Io e Laura Patrizi siamo stati entrambi pubblicati dalla casa editrice Ensemble e ci siamo conosciuti a Roma, trovando diversi punti di contatto sul come si raccontano le storie. La cosa strana è che è stato scritto a distanza, lei scriveva le parti della romanziera e io del poeta, come se fossero delle vere lettere, in cui uno rispondeva all’altra, ma non avevamo una scaletta, solo la voglia di sperimentare e capire dove ci avrebbe portati quella storia.
Raccontaci del tuo lavoro di libraio… perché hai deciso di cambiare lavoro? Come si gestisce una libreria? Quante energie bisogna investire nel lavoro? Descrivici le tue attività e la tua giornata tipo.
La Ciurma è una libreria indipendente aperta da poco più di un anno e ormai rappresenta tutta la mia vita, nel senso che non è e non sarà mai solo un lavoro, ma è una passione, una filosofia, un voler offrire un’alternativa sia a chi legge sia a chi cerca un punto di incontro nel quartiere. Presentazioni con scrittori e scrittrici, laboratori per bambini, reading di poesia, piccoli concertini acustici, socialità e condivisione sono tutto ciò che una libreria indipendente come la mia è contenta di dare, perché i libri e la cultura in generale sono ciò per cui vale la pena vivere e dare un senso alle nostre giornate e uno sfogo alla nostra curiosità. Senza arte saremmo sicuramente più poveri.
La mia attività prevede essere informati sui libri che escono e poi decidere quali tenere in libreria, che non essendo una libreria di catena, avrà sempre una mia impronta personale. Libri appena usciti, classici, libri per bimbi e ragazzi, saggi, narrativa indipendente – che è quella che preferisco. A volte è molto stancante, spesso mi porto il lavoro a casa e il tempo per leggere tutto quello che esce non basta mai, ma quando i pirati della Ciurma sono contenti e soddisfatti, io lo sono per primo perché vuol dire che sto svolgendo bene il mio compito.
Che progetti hai per il futuro?
Sopravvivere. Fare del proprio meglio. Continuare a scrivere. Andare di più al mare.
Ci regali una poesia o una citazione che ti piace?
Ve le regalo entrambe e grazie ancora dell’opportunità e dello spazio. Ci vediamo presto in una città che per me rappresenta qualcosa di speciale.
Abbiamo paura di abitare il mondo
paura di scorrere via insieme al tempo
ci infliggiamo da soli le nostre ferite
senza accorgerci che sono solo
semplici graffi.
Non vi dico di chi è perché mi sembra fin troppo palese, visto le mie risposte sopra.
Come faccio a uscire da tutto questo buio?
Ricercando il tempo perduto…
Corto Maltese
Grazie di cuore, Daniele, ci vediamo a Porto Maurizio ad aprile.
