Il “pregiudizio positivo” della speranza
Il ” pregiudizio positivo” della speranza
Sarà il periodo pasquale, sarà l’esigenza di rinvigorire il sistema immunitario emotivo per districarmi nella selva degli impegni professionali, di certo sento la necessità di evidenziare l’importanza di coltivare sempre di più nelle scuole di ogni ordine e grado il “pregiudizio positivo” della speranza, intesa non come acritico ottimismo ma come impegno quotidiano a investire nel futuro.

La cornice del quadro
Spesso l’attività giornaliera di un dirigente scolastico è scandita da colloqui con insegnanti e genitori di studenti, incontri finalizzati a scandagliare situazioni di disagio, e non è infrequente lo svolgimento di un’opera di mediazione per superare il perimetro dell’episodio contingente, rintracciare le cause profonde di quel malessere che talvolta i ragazzi esprimono con i comportamenti “maldestri”, apparentemente immotivati, talvolta ostili e aggressivi, tipici della preadolescenza. Nell’analisi di certi atteggiamenti dei giovanissimi dobbiamo considerare più importante la cornice del quadro, ovvero, anziché soffermarsi solo sulle azioni messe in atto, è fondamentale contestualizzarle su uno sfondo che superi i confini delle aule scolastiche e incontri la condizione famigliare e sociale, il vissuto dell’infanzia, l’assolutezza di un’età in cui le attese sono alte e, mai come nel nostro tempo, destinate a fare i conti con una realtà avara di reali opportunità per una piena realizzazione personale nelle quali riporre fiducia.
Educare alla speranza
Il compito dell’educatore è quello di educare alla speranza in una prospettiva progettuale concreta, tale da incrementare la mobilitazione di risorse interne, la motivazione nel percorso di studi intrapreso e nelle possibilità future che può dischiudere, la gratificazione per i progressi, anche minimi e discontinui, che possano essere raggiunti lungo il cammino.
In un’interessante rivista universitaria ho letto le riflessioni del Preside di una facoltà di Medicina e Chirurgia, il quale afferma che per un medico la speranza non coincide tanto con la guarigione del paziente quanto con la cura, considerata come sintesi di competenza professionale, attenzione umana, vicinanza: una “strategia vincente” nei cui confronti possono risultare ininfluenti persino gli esiti clinici, anche quando sono purtroppo ineluttabili, dato che la percezione e l’accompagnamento della persona diventano più significativi della malattia stessa.
E allora, se addirittura in ambito medico, quando non è in gioco l’acquisizione di conoscenze e competenze ma la vita stessa, riveste un ruolo fondamentale la cura della persona a trecentosessanta gradi, nel rispetto della sua unicità e dignità psicofisica, tra i banchi di scuola dev’essere prioritario non lasciare mai nessuno studente da solo di fronte alla sua fragilità, cercare sempre di capire le ragioni, indagare le cause profonde, trasmettere la possibilità di poter far leva sulle proprie potenzialità. Non si tratta di assumere un atteggiamento buonista, centrato su una generalizzata volontà assolutoria, bensì di credere che ogni parola, gesto, sguardo, possano fare la differenza.
La personalizzazione dell’insegnamento
Da questo punto di vista, la personalizzazione dell’insegnamento è fonte di speranza perché moltiplica le competenze personali di ciascun alunno e valorizza l’identità personale, senza contenuti preconfezionati uguali per tutti ma oggetto di continue interazioni tra pari, studenti e docenti, tra il mondo della scuola e l’ambiente, attraverso la flessibilità organizzativa e metodologica. La speranza, quindi, è un approccio alla vita che arriva a coincidere con la stessa azione di insegnare, s’impasta con il curricolo di studi, è compagna di viaggio lungo la strada dell’orientamento, dove, non cedendo al presente lo proietta nel futuro, con l’ambizione di stravolgere i pronostici, perché nessuno studente deve pensare di avere un “destino”, ma di poter giungere, qualunque sia la condizione di partenza, al dominio delle proprie possibilità.
La speranza che siamo chiamati a garantire ai nostri allievi non è una pianta mitologica dell’iperuranio delle idealità, è un prato erboso dove possano coltivare ogni giorno la fiducia in se stessi: è il “giallo dei limoni” di Eugenio Montale, che ci si mostra “da un malchiuso portone, tra gli alberi di una corte”, nell’irrompere, inaspettato e imprevisto, delle “trombe d’oro della solarità”.

Dirigente Scolastico
