Corri, donna, corri: verso la libertà e l’emancipazione
La rivoluzione della corsa in rosa che abbatte i traguardi e conquista il mondo
…Se avessi mollato Jock Semple e tutti quelli come lui avrebbero vinto. La mia paura e la mia umiliazione si sono trasformati in rabbia. (Kathrine Switzer)
La corsa come segno di libertà ed emancipazione
La corsa è una passione che cambia la vita: la rende migliore. Potete chiedere a qualunque runner ma per una donna è molto di più! La corsa è indipendenza, libertà ed emancipazione sportiva. Queste parole possono apparire anacronistiche in questa epoca in cui per fortuna almeno in Occidente siamo libere di correre e fare qualunque sport anche quelli che per molto tempo sono stati retaggio maschile. Questa libertà per nulla scontata è merito di “eroine” che nel secolo scorso lottarono e non si arresero per poter praticare la propria disciplina sportiva e partecipare al pari degli uomini agli eventi agonistici.
Oggi sembra un paradosso, ma la storia dimostra il contrario
Oggi può sembrare un paradosso, ma alle donne da sempre fu vietato di partecipare alle gare tanto meno ad una Olimpiade in quanto ritenute fisicamente non idonee. Il vento cambiò e uno spiraglio di speranza si ebbe solo nel 1920 ad Anversa, in cui le donne furono ammesse ai Giochi Olimpici ma ancora escluse dall’ Atletica leggera. A quel tempo immagino si respirasse un clima di ribellione, ciò spiegherebbe il dipinto di Picasso del 1922 intitolato “Corsa” (Museo Picasso di Parigi) raffigurante due donne che corrono sulla spiaggia, danzando con il vento.
In verità osservando bene il quadro le due donne sono enormi in coerenza a uno stile neoclassico, ma in netta contrapposizione con lo stereotipo della donna diafana degli anni ’20 e per nulla riconducibile ad una figura di donna sportiva. Tuttavia l’elemento essenziale che deve catturare l’attenzione è il “movimento”: le due donne nell’ atto di correre esprimono la loro piena libertà, immuni da qualsiasi divieto. È questa libertà, questo desiderio delle donne di poter dimostrare il proprio talento anche nello sport che l’artista, precursore dei tempi, percepì ed espresse in questo dipinto.
Alle Olimpiadi del 1928 il primo segnale di emancipazione femminile
Trascorsero ancora alcuni anni e finalmente nelle Olimpiadi di Amsterdam del 1928, ecco le donne ammesse all’atletica leggera merito della caparbietà di Alice Milliat , atleta di canottaggio,organizzatrice dei Giochi Olimpici Femminili che si svolsero per la prima volta a Parigi nel 1921.
Parteciparono 77 donne provenienti da vari Paesi e poi a seguire in Svezia, Praga e a Londra con una portata mediatica dell’ evento sportivo tale che il Comitato Organizzativo Olimpico comprese che la Milliat non si sarebbe fermata e così lo stesso De Couberten fondatore del COI, pur affermando che la donna per “sua natura” non sarebbe mai stata idonea all’attività agonistica, acconsentì ad una parziale partecipazione femminile all’atletica leggera, in sole cinque specialità: 100 metri, 800 metri, lancio del disco, salto in alto e staffetta 4X1000. Fu una grande vittoria, ma al contempo indizio di quanto sarebbe stata lunga e tortuosa la strada per raggiungere il sogno di partecipare ad una Maratona.
Il divieto alle donne di partecipare alla maratona
Negli anni ’70 alle donne era ancora vietato partecipare alle maratone e nel 1967 in quella di Boston Kathrine Switzer ,travestiva da uomo con il pettorale 261, impavida partecipò comunque e quando la scoprirono continuò a correre grazie all’aiuto del suo fidanzato, ex giocatore di football e lanciatore del peso, che spinse a terra il Giudice che tentò di fermarla e Kathrine riuscì a concludere la sua gara: “ Sapevo che se avessi smesso nessuno avrebbe mai creduto che le donne avevano la capacità di correre per oltre 26 miglia…Se avessi rinunciato, gli sport femminili sarebbero tornati indietro nel tempo invece che in avanti. Se avessi smesso non avrei più corso a Boston. Se avessi mollato Jock Semple e tutti quelli come lui avrebbero vinto. La mia paura e la mia umiliazione si sono trasformati in rabbia”.
Grazie al suo coraggio pian piano si sgretolarono le convinzioni discriminatorie e ingiustificate nei confronti delle atlete donne e nel 1972 il regolamento della maratona di Boston divenne uguale a quello di New York. Kathrine corse oltre 40 maratone vincendo quella di New York nel 1974. La maratona femminile apparve nei Giochi Olimpici soltanto nel 1984.
Alle donne coraggiose del passato
Grazie a queste e ad altre atlete coraggiose, oggi sono sempre più numerose le donne che corrono e che partecipano alle maratone non soltanto le atlete ma anche coloro, podiste amatoriali, che praticano la corsa per passione. Quest’ultime non hanno l’obiettivo di vincere bensì di poter vivere una bella esperienza, respirare energia positiva. La corsa deve includere tutti, senza alcuna differenza di sesso, di età, di razza, politica e religione. Lo sport è per tutti, è vita è speranza e la corsa non è solo uno sport ma molto di più!
Libero Professionista – Runner