Caro Pier Paolo ci mancano la tua lungimiranza e la tua poesia…
Caro Pier Paolo, quasi in tono amichevole, quasi come un amico. Si è importante ricordare e non dimenticare. C’è l’insegna la storia, ce lo impone la storia. Abbiamo letto anche di “un intervista immaginaria”, perché non un’amicizia scomoda e immaginaria?
Caro Pier Paolo…
Pierpaolo Pasolini, alla stregua di un profeta, vedeva lontano e non era per niente ottimista riguardo la realtà del periodo in cui viveva. Eravamo in piena guerra fredda. Mi chiedo sempre come avrebbe visto questo nostro momento storico non fosse stato ucciso la domenica sera del 2 novembre 1975 presso l’idroscalo di Ostia.
“La grande massa fluttua tra valori perduti e altri valori ipotetici non ancora acquisiti. Il modello che trionfa è lo stile piccolo-borghese. È un fenomeno politico sociale che può portare al fascismo. Io oggi non posso essere ottimista. Mi pare che uno che oggi, in questa situazione, riesca ad essere ottimista, non ami veramente la gente. Ottimisti sono coloro che non amano. Soltanto una persona che ama può stare in pena di fronte a un simile cambiamento; chi non ama se ne frega e tende ad essere ottimista per eludere i problemi”. Le sue parole ci fanno ancora venire la pelle d’oca, oggi più che mai.
Un enigma storico
Della sua morte si sa tutto, o almeno, si sa quello che ci è stato fatto credere. Del resto fa comodo che la morte di Pasolini rimanga un enigma, un enigma storico. La sua amica, la scrittrice Dacia Maraini, ha chiesto la riapertura delle indagini di quell’omicidio terribile di cui all’epoca Pino Pelosi si addossò tutta la colpa. Ma al momento le indagini si sono si sono fermate là.
Gli attacchi di Pasolini alla Dc, accusata di contiguità con il fascismo, il caso Enrico Mattei, la sua ostinazione nel credere che dietro quella morte vi fossero i servizi segreti italiani e americani, le sue critiche anche alla sinistra, ai “figli di papà” del ’68, la diffidenza del Partito comunista, che lo aveva anche espulso perchè omosessuale, la pila di denunce per i suoi libri e i suoi articoli, portarono gran parte dell’opinione pubblica a parlare di omicidio politico. Lo dissero ad alta voce tutti i suoi amici come appunto la Maraini, Laura Betti, ma anche giornalisti e intellettuali.
Pierpaolo e l’ultima opera “Petrolio”
L’ultima sua grande opera “Petrolio” è anch’essa un romanzo scomodo, una violenta accusa ai poteri che hanno influenzato la società italiana dal Dopoguerra. Narra del cambiamento dei costumi, dominati dalla mancanza di un valido contenuto morale dell’immagine, dall’egocentrismo, dallo stress per la lotta perenne sul posto di lavoro.
Pier Paolo Pasolini tocca anche il tema del disastro ambientale narrando i viaggi nell’Italia arcaica e contadina di Carlo, il protagonista del romanzo, per conto dell’Eni, per la quale viaggia anche in Grecia e poi in Oriente. Così il petrolio del titolo assume i tratti di una sostanza incomprensibile, una risorsa su cui la nostra società fa affidamento in maniera illusoria.
Cercava la morte in ogni notte di “vita”
Pasolini che cercava la morte ogni sua notte di “vita”, la trovò per mano di un diciassettenne che sembrava uscito direttamente dai suoi romanzi. Ma Pelosi non era solo, questo è certo. La scrittrice Simona Zecchi, in un recente libro, ha anche indicato altre possibili piste da battere per fare piena luce su quell’omicidio. Chissà se questo accadrà mai… Resta il fatto che il mondo ha perso prematuramente quel poeta riflessivo, quell’intellettuale che denunciava quel “processo di adattamento alla propria degradazione”.
“…io vorrei essere scrittore di musica, vivere con degli strumenti dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare nel paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta innocenza di querce, colli, acque e botri, e lì comporre musica l’unica azione espressiva forse, alta, e indefinibile come le azioni della realtà”, così scriveva Pier Paolo Pasolini nel 1966 nel suo Poeta delle ceneri.